/ Commestìbile / #33
Ci sono due cose su cui rifletto spesso ripensando al mio percorso nell’editoria gastronomica. Primo: che io non ho una formazione culinaria di alcun tipo—ho studiato semiotica e poi moda—; 13 anni fa, quando mi approcciavo a questo settore, non nutrivo una smodata passione nei confronti della ristorazione, né ero disposta a spendere tanti soldi per il cibo.
Secondo: si dice che ci siano persone che “hanno il palato”, e non è detto che io ce l’abbia questa “dote innata”. Sì, ho mangiato in tantissimi ristoranti, di livello e non, ho viaggiato un po’ praticando voracemente la cucina locale, ma chi ci assicura che io sappia distinguere un buon ristorante da uno scarso? Perché una persona quindi dovrebbe fidarsi di me, e dei ristoranti di cui parlo?
Il sommario di questa Newsletter
È un lavoro anche solo fidarsi di qualcuno
Le 5 newsletter più lette del 2024 su Commestibile
I link più interessanti del periodo
È un lavoro anche solo fidarsi di qualcuno
Ammettiamo che tu abbia il palato, però tu non abbia viaggiato molto, forse questo lavoro non dovresti farlo, o meglio, dovresti stare nel tuo, e parlare solo di ristoranti che servono pastasciutta e cotolette? Se non hai mai messo piede in Giappone come fai a riconoscere che un nigiri di otoro è fatto in modo “originale”?
La butto giù dura, ma seguitemi.
Recentemente mi sono imbattuta in un video di un noto critico gastronomico italiano che parlava di una ravioleria asiatica appena aperta a Milano. Diceva che i ravioli serviti in questo locale erano buoni e fatti a mano. Peccato che in quella ravioleria, dove ero andata tre settimane prima, i ravioli sono senza alcun dubbio surgelati, o almeno la maggior parte. Erano i ravioli di UniCash, che sarebbe la Metro che offre una vasta selezione di ingredienti internazionali ai ristoratori, con una predominanza sul versante asiatico. Tutti i Gua Bao un po’ piatti ma ripieni che vedete in giro, per esempio, vengono da lì.

Erano buoni quei ravioli di quel ristorante menzionato dal noto critico? Erano mangiabili, ma erano senza molti dubbi industriali, cotti male e anche pasticciati. In più il ristorante, nonostante l’estetica forte, peccava su tutto il resto, con un menu un po’ troppo generalista con un sacco di piatti panasiatici, con la medesima origine: il gelo. Nulla di male, contesto solo il “fatti a mano” e “artigianali” scritto sul menu.
Di chi vi fidate: di me o del critico gastronomico?
Ho viaggiato per tutta l’Asia per poter essere dire queste cose con certezza? No, almeno non tutta.
Ho mangiato in tanti ristoranti asiatici? Sì, ma forse neanche quello conta davvero. Ho fatto la spesa da UniCash con la mia socia Victoria? Certo che sì.
Ancora una volta: come fate a fidarvi di me, che so cucinare poco e che non ho nessuna formazione? E probabilmente non ho manco il palato assoluto. Come fate a fidarvi del critico che probabilmente sulla ristorazione italiana è fortissimo, ma sul cibo internazionale prende spesso dei grandi abbagli?
Io, in realtà, non sono mai stata una critica gastronomica vera e propria e mi sono messa a fare l’editor, che mi riusciva sicuramente meglio. Però ho insegnato in un master che si prefiggeva di istruire i “critici gastronomici del futuro”, sebbene il mercato editoriale sia saturo e per nulla remunerativo. Questo non sembra scoraggiare, però, il sorgere di corsi che promettono di farvi diventare abili assaggiatori di ristoranti senza macchia e senza paura.
Poi c’è il tema degli inviti: ne ho già parlato in questa newsletter, e non mi soffermerò molto qui. Rimane comunque aperto l’interrogativo: se vado solo nei ristoranti che mi invitano, e dove non sborso un euro, e dico che è tutto buono, potete fidarvi di me?
Possiamo confidare dei video tutti uguali di alcuni creators che su TikTok si fiondano nello stesso identico locale in hype e dicono che “si mangia benissimo” o che c’è “un ottimo rapporto qualità prezzo?”
Come su ogni versante della cultura, forse, bisognerebbe essere critici a nostra volta, seguire chi incarna i nostri stessi gusti o di cui condividiamo valori e formazione. Così anche per i creator, che non sono tutti uguali, così come critici e i giornalisti. Capire in cosa è esperta quella professionista, andare per prove ed errori. È un lavoro anche solo fidarsi di qualcuno, in questa orgia di contenuti e di video.
Esiste un magazine, un critico o un creator di cui vi fidate ciecamente?
Vi lascio senza risposte e senza “esperti” per questo stringato numero di Commestibile.
Ci rivediamo nella solita formula più articolata, e fatta meglio, nel 2025.
Le 5 Newsletter più lette nel 2024 su Commestibile
I link più interessanti del periodo
Un falso allarme di kebab umano (Appuntamento con la morte)
The Luxury Makeover of the Worst Pastry on Earth (The Atlantic)
Il Natale in Giappone è al gusto di panna e fragola (Marie Claire)
Club Dead? This Funeral Home Wants to Serve You Alcohol (Vice)
2024’s Best Food and Dining Trends, According to Eater Editors (Eater)
Cadere in un rabbit hole: perché ci mettiamo in coda? (Materia Prima)
Mangia, tifa, ama: atlante mondiale del cibo da stadio (Rivista Undici)
Al pandoro non è andata bene come al panettone (Il Post)
La strana pentola delle bisnonne che cuoce come un forno: la storia del forno sul fornello (tornato di moda) (Gambero Rosso)
Tutti i presìdi Slow Food del 2024: storie di biodiversità e cultura (Lifegate)
Non mi fido neanche di me stesso! Posso fidarmi delle guide che pagano una miseria e non rimborsano il conto del ristorante!!! L’unica che fa eccezione è la Michelin che non fa una critica gastronomica dettagliata: da un riconoscimento che è dettato dal gusto dell’ispettore e dalle regole della guida. Si può non essere d’accordo, ma è indubbiamente coerente! Se penso a quel ridicolo critico che si presenta in pubblico mascherato mi viene solo da ridere (è lui che ha apprezzato i dim sum surgelati?). Il critico del New York Times Pete Wells aveva la sua foto ben posizionata nelle cucine di tutti i più importanti ristoranti della città eppure non ha mai avuto problemi a stroncare locali celebrati! Era (per salute ha smesso) il più autorevole critico forse del mondo. Viaggiare e incuriosirsi delle storie da raccontare è fondamentale per cercare di capire cosa c’è nel piatto
Al di là del fatto che ritengo che i critici gastronomici siano una categoria altamente specializzata e in via di estinzione (parlo della professione, non della formazione), faccio comunque per loro lo stesso ragionamento che farei per una qualsiasi altra persona: i gusti sono personali, non c'è quasi niente di oggettivo. Non parlo di esecuzione tecnica, come una pizza bruciata (e anche là, culturalmente sorprende come questo sia ritenuto o meno un difetto a seconda se la si mangi a Napoli o a New Haven) ma proprio di palato. Per questo motivo il mio consiglio implicito, e alle volte esplicito, quando racconto le mie esperienze - per l'appunto, non uso mai la parola recensione - è quello di usare le mie parole come un'indicazione, ma alla fine andare sempre a provare in prima persona, che le esperienze possono essere nettamente differenti per tanti motivi, prima di tutti il proprio gusto. Chiaramente viviamo in un'epoca dalle migliaia di opportunità e tempo limitato, per questo cerchiamo chi faccia la scrematura per noi. E quindi scegliamo a chi affidarci: come dici tu, è una questione di fiducia, ma la responsabilità ricade su chi fa la scelta.