Perché tutt* sembrano fissati con Ottolenghi?
Quei piatti ricchi di salsine, spezie e verdure.
/ Commestìbile / #31
Nella nostra bolla, mia e di Victoria, fatta di persone che amano andare a cena fuori e che si crogiolano nel mangiar bene anche a casa, c’è un nome che molto spesso salta fuori: Ottolenghi.
Cucina ottolenghiana; piatti tipo Ottolenghi; ristoranti che propongono abbinamenti tipo Ottolenghi.
Usciti fuori dalla bolla che si spara tutto il giorno video pieni di salse e verdure succulente, c’è però un universo parallelo composto da individui che si chiedono con una certa legittimità: “Chi diamine è Ottolenghi?”.
Ecco questa è una newsletter da inviare ad amiche e amici, a conoscenti che vogliamo “erudire”, alla mamma o al papà, sperando che poi vogliano regalarti per Natale tutti i libri di Ottolenghi.
Cosa c’è in questa newsletter
Chi diamine è Ottolenghi?
Il suo successo, i libri e un canale TikTok fatto bene
La community italiana in fissa con Ottolenghi. Intervista a Sara Porro
I link più interessanti del periodo
Chi diamine è Ottolenghi
Yotam Ottolenghi nasce a Gerusalemme da genitori ebrei di origini europee—tedesche e italiane. Studia lettere e filosofia, prima e Tel Aviv, poi in USA, ma è a Londra che inizia il suo iter gastronomico, quando si iscrive alla scuola di cucina più famosa al mondo: Le Cordon Bleu. Dopo un percorso da pastry chef in ristoranti importanti, arriva un punto di svolta quando incontra lo chef Sami Tamimi, anche lui nato a Gerusalemme ma di origini palestinesi: Tamimi diventerà il suo partner lavorativo e insieme apriranno una rivoluzionaria bottega/bakery a Notting Hill, perfetto connubio di sapori levantini e mediterranei.
Contestualizziamo, perché è importante: siamo nei primi anni 2000 e alcuni ingredienti e preparazioni—vedi tahini o hummus—non sono in voga come adesso in Europa. Il successo del deli-gourmet di Ottolenghi e Tamimi riecheggia in tutta Londra; inizia da qui il vero successo di Ottolenghi, fatto di altri locali nella capitale inglese e di collaborazioni con giornali, come quella con il The Guardian e il The New York Times.
Il successo, i libri e un canale TikTok fatto bene
Se dovessimo spiegare la cucina di Ottolenghi a una persona che non la conosce, diremmo che è un tripudio di verdure cotte in modi inaspettati, fondi dal gusto complesso, ingredienti e spezie provenienti da tutto il mondo, ma con un acceleratore premuto sul versante levantino. La cucina di Ottolenghi è colorata, apparentemente sana e molto golosa; per riprodurre i suoi piatti si necessita di procedure semplici ma a volte molto lunghe; i suoi piatti uniscono onnivori e vegetariani in un’apoteosi di carboidrati, bocconi di sedano rapa caramellato o cipolle al miso.
Questo tipo di cucina molto vegetale, che combina elementi mediterranei e non, appare oggi più contemporanea che mai: i bistrot e i ristoranti europei più interessanti sembrano ispirarsi proprio a Ottolenghi e alla sua logica nelle preparazioni, soprattutto quando si tratta di verdure.
Se dovessimo parlare del più grande successo dello chef, probabilmente dovremmo parlare dei suoi libri (qui una guida abbastanza esaustiva per scegliere quello più adatto a voi). Ottolenghi ha venduto circa 7 milioni di copie in tutto il mondo, almeno stando ai dati del 2021.
Il suo primo libro risale al 2008: Ottolenghi. Poi arriva Plenty (2010) e Gerusalemme (2012, scritto con Sami Tamimi, così come Ottolenghi) un vero caso editoriale. Fra i più recenti e di successo Flavour (2020), mentre nel 2022 esce con Ottolenghi Test Kitchen: Extra Good Things. Non tutti sono pubblicati e tradotti in Italia.
Un’altra cosa che Ottolenghi, con i suoi collaboratori e collaboratrici, fa molto bene sono i video per il canale TikTok, dove si preparano ricette un po’ meno laboriose del solito, che rappresentano un buon inizio per chi vuole approcciarsi alla sua cucina.
La community italiana in fissa con Ottolenghi. Intervista a Sara Porro
Sara Porro molto probabilmente la conoscete già: è autrice e giornalista, e negli ultimi anni ha costruito una fedelissima community su Instagram. Fa parte anche di un bel progetto collettivo chiamato Cuochi Ma Buoni, che vi invitiamo ad approfondire qui e di cui parlerà Sara nella sua intervista qui sotto.
Uno dei temi ricorrenti del suo profilo IG è proprio la cucina di Yotam Ottolenghi. Su Instagram, grazie alla sua piccola ossessione, si è creata una fanbase ottolenghiana che poi ha trovato una dimora più stabile su un canale Telegram, dove si parla di ricette e ingredienti—e di come reperirli. Porro organizza addirittura dei retreat a tema ottolenghiano (qui la sua newsletter a tema) con Myriam Sabolla. Ha infine tradotto l’ultimo libro di Ottolenghi, pubblicato in Italia da Giunti: Comfort.
Tutti questi “titoli” la rendono a tutti gli effetti un’esperta di Ottolenghi. Le abbiamo dunque chiesto da dove nasce “questa ossessione” per l’autore israeliano, e del perché ultimamente sembra avere fortuna in Italia.
Commestibile: Da dove nasce la tua TOTALE OSSESSIONE per Ottolenghi?
Sara Porro: C'è una famosa citazione di Hemingway in cui parla del modo in cui è andato in rovina e dice “Sono andato in rovina in due modi, prima gradualmente e poi tutto in una volta”. Ecco, più o meno a me è successo lo stesso con Ottolenghi: ho cominciato a cucinare con assiduità in casa una decina di anni fa, ed ero in cerca di ricette vegetariane soddisfacenti; io sono pescetariana, ma in casa mangio solo vegetariano, così mi sono imbattuta prima nelle ricette della rubrica di Ottolenghi per il The Guardian, che sono vegetariane, e poi successivamente ho comprato, credo, Plenty come primo libro.
Ho progressivamente preso confidenza sia con le ricette che con gli ingredienti: mi sono costruita una dispensa di ingredienti e da lì, insomma, il mio amore per i piatti ottolenghiani, la cucina ottolenghiana, è andata crescendo fino a svilupparsi in quello che tu oggi chiami un'ossessione.
Secondo te come mai in Italia Ottolenghi non era/è poco conosciuto?
Allora, ci sono diversi modi per rispondere a questa domanda. Prima di tutto, io credo che per chi cucina abitualmente piatti italiani, la cucina ottolenghiana sia una cosa che non ti sconfifera particolarmente. Secondo punto, lo vediamo dalle classifiche dei libri di cucina più venduti; in generale c'è una tendenza alla ipersemplificazione, sempre tutto in 30 minuti, 4 ingredienti, tutto facilissimo e questo è abbastanza agli antipodi della cucina ottolenghiana, che è un po' complessa, non particolarmente a livello di tecnica di cucina, ma certamente molto spesso i suoi piatti richiedono procedimenti lunghi, con una difficile reperibilità degli ingredienti. Più in generale, in Italia non c’è, secondo me, un fortissimo interesse verso la cucina al di fuori dall'Italia, cioè di libri di cucina fuori dall'Italia; se pensi anche a Nigella Lawson, che probabilmente è uno dei nomi più noti in assoluto, solo una parte dei suoi libri sono stati tradotti in Italia e sono solo quelli più italiani, per esempio Nigellissima, mentre quello che io considero lo studio più bello, How to eat, non è mai stato tradotto, a meno che non sbagli.
La tua pubblicazione preferita e perché proprio Simple (lol)?
Allora, scindo la risposta a questa domanda, perché se ti devo dire qual è la pubblicazione da cui partire, certamente Simple, che tu menzioni, è anche il libro da cui io cucino più frequentemente: tutte le settimane c'è un piatto sulla mia tavola che viene da Simple. Il mio libro preferito è, però, probabilmente Flavour, che lui ha scritto a quattro mani con Ixta Belfrage, che è stata, secondo me, tra le persone più inventive e fantasiose alla guida della sua test kitchen. Noi fan di Ottolenghi siamo un po’ come i fan di Taylor Swift: anche noi abbiamo The Eras Tour di Ottolenghi, che sarebbe l'Era Belfrage, dove Ixta porta una cultura culinaria legata un po' all'Italia, un po' al Messico e all’America Latina, con ingredienti e preparazioni molto consapevoli, come l’uso dei peperoncini o il lime al posto del succo di limone.
Com'è cambiato o che dimensione ha preso l’Ottolenghi fan club che si è creato su Instagram?
È un po' buffo per me rendermi conto che, in questa fase, ci sono poche delle mie attività professionali che non hanno niente a che fare con Ottolenghi. Dunque, quest'anno ho tradotto l'ultimo libro che è uscito in Italia per Giunti, che si chiama Comfort. Poi, dall’anno scorso, con Myriam Sabolla, facciamo dei retreat culinari sullo stile di quelli un po' più celebri di yoga, in cui ci troviamo con 20-25 persone il venerdì in un posto e passiamo praticamente tutto il tempo a cucinare piatti di Ottolenghi. Sembra una cosa un po' singolare, ma sta avendo un ottimo riscontro. Ne faremo una nuova edizione—sarà la sesta—a fine novembre e i posti disponibili sono stati venduti letteralmente in un minuto. Ho registrato lo schermo perché faceva impressione vedere i posti che si riempivano così rapidamente. L'altra cosa che passa da Ottolenghi nella mia vita sono ovviamente i Cuochi ma Buoni che, sempre io e Myriam, abbiamo creato nel marzo del 2022, una sorta di associazione in cui organizziamo delle cene e dei pranzi di raccolta fondi. Il nostro modello prevede che tutto venga donato al 100% senza trattenere nulla per le spese. Nell'ultimo anno abbiamo raccolto più di 28 mila euro e più di 50 mila da quando abbiamo cominciato e tutti questi pranzi e cene sono con ricette di Ottolenghi, tutte vegetariane. Ciò detto, visto che poi temo sempre che un giorno mi arrivi a un'ordinanza restrittiva: il mio non è uno culto della personalità, nel senso che chiaramente lo stimo, sarei felice di incontrarlo, ma quello che io apprezzo di Ottolenghi è Ottolenghi entità, diciamo, cioè il fatto che mi piace proprio questo stile di cucina molto ricco, molto inventivo, molto divertente, vario e pieno di sapore.
Cosa ti piace di più della cucina levantina in generale?
Io sono grande amante della cucina levantina, quindi dell'aria che forse abbiamo smesso un po' di chiamare Medio Oriente perché è un po' eurocentrico chiamarlo Medio Oriente; mi piacciono proprio i sapori di base, le speziature, l'uso della tahini, l'uso delle erbe aromatiche in grandissime quantità, però la cucina levantina e la cucina ottolenghiana ormai sono due cose separate.
Tornando al paragone del The Eras Tour di Taylor Swift: la prima Era ottolenghiana è quella di Gerusalemme, del libro che pubblicò con Sami Tamimi, che Giunti aveva stampato proprio quest'anno. In quasi tutti i libri di Ottolenghi c'è una componente di cucina levantina; devo dire nell'ultimo in particolare, Comfort, ce n’è pochissima, un po' secondo me, perché è uscito a nome Ottolenghi, e non Yotam Ottolenghi, perché gli autori sono quattro. Per esempio, questo libro esplora molta Asia e molto Sud-Est asiatico, per via dell'influsso di due delle autrici. Quindi non sovrapporrei particolarmente ormai cucina di Ottolenghi e cucina levantina. Quello che è centrale nella cucina di Ottolenghi sono le verdure, verdure trattate come alimento nobile e i sapori molto decisi. Ormai fatico a mangiare qualcosa che non abbia una “pungenza”, un componente di calore. Ho la sensazione che le sue ricette contribuiscano molto alla varietà, alla ricchezza della vita quotidiana.
I link più interessanti del periodo
When Food Doesn’t Taste Like Home (Vittles via Mutande del Lunedì)
Cucina e propaganda: ecco come i ricettari hanno aiutato le suffragette a lottare per il voto (Gambero Rosso)
La siccità ha diminuito del 20 per cento la produzione di uva da vino in Sicilia (Il Post)
This Book Contains a Century of Historical Sandwiches (Gastro Obscura)
How TikTok Fell for Canned Beans (The Cut)
Clima, nel 2024 riscaldamento globale a oltre 1,5 gradi (Lifegate)
Per quanto una ricetta di Ottolenghi (e il suo Clan) sia più complessa da riproporre rispetto uno spaghetto al pomodoro, quando componi il piatto e lo mangi, è come se fossi in viaggio in un paese lontano dai colori vividi, con cieli blu, pomodori rossi e verdure lucenti e piene di clorofilla. Soltanto la vista dei suoi piatti è un antidepressivo…
Ottolenghi ha reso “pop” la cucina levantina, togliendo alcune complicazioni ed aggiungendone altre. Rispetto alle ricette “ottolenghiane”, da “giorno di festa”, preferisco sempre la semplicità di quelle di Tamimi, che sono meno “da Chef” ma più da persona che in casa cucina ogni giorno. Ma sono validissimi manuali da seguire per uscire dalla noia trita e ritrita dei tre piatti “esotici” che propongono i ristoranti. Ben venga dunque che ci sia una fan base ottolenghiana in crescita- e con lei, un numero di persone che si avvicina così a una dieta plant based e davvero mediterranea.