La stampa è ancora rilevante per la ristorazione?
E qual è il ruolo di un ufficio stampa oggi? Lo abbiamo chiesto a chi fa questo mestiere.
/ Commestìbile / #40
Quando scrissi la newsletter su come funziona il giornalismo gastronomico in Italia, in molti si soffermarono su questa frase.
Quando trovate nello stesso periodo decine di articoli dedicati sempre allo stesso locale, da qualche parte c’è stata una cena a scrocco
Il sommario di questa Newsletter
Giornali per il prestigio. Social per gli introiti.
Cosa ne pensa davvero chi lavora nella comunicazione gastronomica? Abbiamo chiesto a quattro addette ai lavori
Tutti i link di questa newsletter
Per chi non ha letto quella newsletter, e per ragioni ancora più oscure si rifiuta di leggerla, riassumo: alcuni ristoranti organizzano spesso cene o pranzi con giornalisti per far provare ai suddetti la cucina di un nuovo locale o creare l’occasione per intervistare lo chef. Sono i cosiddetti “inviti” che molti giornalisti accettano per provare un posto nuovo, senza dover spendere dei soldi che altrimenti i loro giornali non gli rimborserebbero mai. Sulle paghe da fame e sulla precarietà di questo lavoro, vi rimando sempre a quella newsletter.
Quindi, se vedete giornalisti più o meno blasonati in giro in ristoranti stellati, tutti i santi giorni, la probabilità che siano stati/e invitati/e da un ufficio stampa, esterno o interno, è molto alta.
Ma chi c’è dietro questi inviti?
Generalmente c’è un ufficio stampa esterno o un addetto stampa interno.
Il lavoro degli uffici stampa nella ristorazione è solo quello di organizzare cene per far andare a mangiare a scrocco i giornalisti?
No.
Direi che il lavoro dell’ufficio stampa è un lavoro complesso, delle volte fatto male, altre volte molto bene. Un lavoro sottovalutato e bistrattato, e che nel mondo della ristorazione fanno quasi sempre le donne. Qui non parleremo della questione di genere legata a questo lavoro, sarebbe dispersivo e non approfondirebbe il tema a sufficienza, ma lo sottolineo perché potrebbe essere uno spunto per una newsletter più avanti.
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Giornali per il prestigio.
Social per gli introiti.
I giornalisti non sono migliori né peggiori dei content creators: il lavoro è diverso (anche se in alcuni casi si sovrappone) ma ugualmente utile per chef e ristoranti.
Ci sono diversi interrogativi che voglio porre a questo punto della newsletter.
A un ristorante conviene investire un budget per l’attività di ufficio stampa?
L’ufficio stampa cosa ti porta? Il riconoscimento del pubblico o delle guide gastronomiche?
E poi: conviene che un ufficio stampa oggi parli solo con giornalisti?
Mi spiego: i giornali sono ancora dei tasselli fondamentali per il successo di un ristorante o un’attività gastronomica? Nel 2025, la visibilità di un ristorante si costruisce principalmente attraverso i contenuti pubblicati su Instagram e TikTok? (anche se qui abbiamo parlato degli effetti “negativi” di troppa notorietà)
Nella prima edizione dell’Osservatorio Agcom sul sistema dell’informazione, i dati evidenziano come Internet sia il primo mezzo di informazione, ma come al contempo il 30% degli italiani abbia scarsa fiducia nei social come fonte di notizie. I media tradizionali, sebbene meno letti, rappresentano ancora una fonte autorevole.
Poco più del 17% dichiara di leggere i quotidiani (solo il 6,6% dice di avere un abbonamento a pagamento a uno o più quotidiani nella versione digitale), mentre circa un quarto dei cittadini fruisce delle notizie dalla versione digitale dei mezzi editoriali tradizionali.
In più:
Il 65,6% della popolazione dichiara di avere un livello di fiducia moderata o alta in almeno un mezzo di informazione; un terzo nutre alta fiducia.
Ovviamente, l’osservatorio dell’Agcom si riferisce soprattutto all’attualità e all’informazione in senso generale, quindi è difficile dire se gli stessi dati valgano anche per il settore gastronomico. I contenuti su ristoranti e chef, spesso, sono percepiti più come intrattenimento che come ‘notizie’.
Nella newsletter Pane, Burro e Caffeina del 13 giugno, Alessandro Vannicelli prende in esame alcuni dati e percentuali molto interessanti proprio sulla ristorazione. “Copio e incollo” qualche dato dalla sua newsletter, invitandovi ad approfondire poi sul suo Substack:
87% dei clienti ha visitato un ristorante perché lo ha visto sui social media (dati OpenTable).
1 su 3 sceglie un locale specifico perché ha visto un piatto virale.
I ristoranti che non investono in una strategia social perdono opportunità di visibilità e prenotazioni.
Il 45% dei consumatori sceglie dove mangiare in base a ciò che ha visto su Instagram o TikTok (Deloitte, 2024).
E anche i brand seguono il pubblico, investendo sempre di più sui creators piuttosto che sui media tradizionali. E per la prima volta, nel 2025, i profitti dei content creators supereranno quelli dei media tradizionali.
Cosa ne pensa davvero chi lavora nella comunicazione gastronomica?
Abbiamo chiesto a quattro addette ai lavori
Tirando le somme in maniera molto sbrigativa: i contenuti video su Instagram e TikTok sono fondamentali per “scoprire” i ristoranti. I giornali sono ancora importanti per il prestigio.
Per capire cosa ne pensa chi legge questa newsletter, abbiamo chiesto sul profilo Instagram di Commestibile quali sono i canali con cui si scopre e si sceglie un ristorante oggi. Ed è andata così (in questo caso sì, vince ancora il passaparola):
Come cambia il lavoro di un ufficio stampa, quindi, oggi, se la stampa sembra perdere pezzi? E conviene a un ristorante destinare un budget per farsi rappresentare?
Ne abbiamo parlato con quattro professioniste che fanno questo lavoro.
Giorgia Cannarella, ex responsabile comunicazione Gucci Osteria e Gucci Giardino
Non basta mandare la cartella stampa e garantire un coverage adeguato, bensì creare connessioni di valore e soprattutto aiutare il ristorante a sviluppare un'identità unica e riconoscibile.
Giorgia Cannarella ha lavorato per tre anni in Gucci come responsabile della comunicazione dei progetti gastronomici del marchio a Firenze: Gucci Osteria e Gucci Giardino. Prima ancora è stata una prolifica editor e scrittrice gastronomica, scrivendo pezzi molto belli che spesso vedete citati in questa newsletter.
Cosa fa un ufficio stampa e com’è cambiata questa professione negli anni?
Giorgia Cannarella: Premetto che io parlo della professione di ufficio stampa che conosco e pratico, ovvero quello della ristorazione. Negli ultimi dieci anni una serie di fenomeni ha cambiato la professione in un modo radicale.
Prima di tutto c'è stato un cambiamento dei media: alla carta stampata si sono affiancati i blog di settore, la versione online di magazine e quotidiani è diventata più letta di quella offline, infine Instagram ha nuovamente scompaginato le carte dell'informazione enogastronomica.
Ma i cambiamenti non sono stati solo nel mezzo, bensì anche interni alla ristorazione: i World's 50 Best Restaurants sono diventati un fenomeno globale, i congressi di cucina si sono moltiplicati, nuove liste come i Best Chef Awards hanno assunto sempre maggiore importanza...
Ora l'obbiettivo di un ufficio stampa è meno istituzionale di un tempo e più organico. Non basta mandare la cartella stampa e garantire un coverage adeguato, bensì creare connessioni di valore e soprattutto aiutare il ristorante a sviluppare un'identità unica e riconoscibile.
Conviene ancora lavorare con la stampa di settore? O meglio, che ritorno si ha da questo tipo di lavoro?
Penso proprio di sì. Persone che lavorano da anni in questo settore, e hanno costruito una solida conoscenza del mondo della ristorazione internazionale, hanno inevitabilmente uno sguardo privilegiato sul settore, che si può tradurre in contenuti di valore o anche solo in feedback preziosi.
Non converrebbe investire solo in creators? I giornali hanno ancora influenza sul consumatore finale?
Non nego che a volte me lo sono chiesta anche io - soprattutto quando vedo redazioni i cui collaboratori sono sottopagati e si limitano a scribacchiare due righe facendo copia-e-incolla dal comunicato stampa. Ma conosco anche tanti professionisti, in Italia e all'estero, con squadre solide alle spalle, che creano contenuti di valore, il cui impatto sui lettori è innegabile. I giornalisti non sono migliori né peggiori dei content creators: il lavoro è diverso (anche se in alcuni casi si sovrappone) ma ugualmente utile per chef e ristoranti.
Il peggior cliente o giornalista per un ufficio stampa
Non posso fare nomi ma una sera una giornalista, o meglio una sedicente tale, è venuta a cena in un ristorante con cui lavoravo insieme alla madre (madre presentata come "la sua assistente", anche se noi non avremmo avuto problemi a ospitarla comunque). Quella sera sono a casa quando lo staff di sala mi chiama, imbarazzatissimo, dicendo che la "giornalista" aveva rifiutato il wine pairing con il menu degustazione, affermando di bere solo Krug e pretendendo che aprissero una bottiglia solo per loro due.
Alla fine gliel'abbiamo offerta ma ho detestato come ha messo in difficoltà il personale costringendoci, in modo assolutamente pretestuoso e presuntuoso, ad aprire una bottiglia costosissima. Beh, ho scoperto che in quello stesso periodo alloggiava (ospite) in un albergo della stessa città, dove a quanto pare ha rubato diverse amenities dando poi la colpa, una volta che è stata confrontata, al personale di servizio.
Axelle Brown-Videau e Mirta Oregna, ufficio stampa
Un cattivo ufficio stampa ignora il giornalista per enne motivi: per noi ogni richiesta merita una risposta. Spamma (si deve avere il coraggio di dire No al cliente). Scrive comunicati che iniziano tipo: "Nella splendida cornice.."
Axelle Brown-Videau e Mirta Oregna sono due professioniste che lavorano insieme dal 2015. Mirta Oregna in particolare è un’enciclopedia vivente della ristorazione milanese, mentre Axelle nutre una passione e ha una conoscenza sui vini ampissima.
Cosa fa un ufficio stampa e com’è cambiata questa professione negli anni?
Mirta&Axelle: L'ufficio stampa è ambasciatore del suo Cliente presso i giornalisti. In 25 anni di esperienza siamo passate dal fax all'AI. Al di là dei cambi tecnologici, quella che è cambiata è la stampa stessa. È la prima ragione di successo è sapersi adattare a questi cambiamenti (formandosi e informandosi) e individuare il giusto interlocutore.
Conviene ancora lavorare con la stampa di settore? O meglio, che ritorno si ha da questo tipo di lavoro?
È fondamentale parlare con la stampa del settore di riferimento, questo non vieta poi di declinare la notizia in altri settori. Noi valutiamo la stampa adatta caso per caso: situazioni/prodotti/storie richiedono stampa differente (B2C e B2B, generalista o tecnica) ma anche il modo in cui trasmettiamo la news viene trasformato a seconda delle esigenze. È lavoro sartoriale. Il ritorno: la tua notizia è sempre di interesse.
Non converrebbe investire solo in creators? I giornali hanno ancora influenza sul consumatore finale?
No, anche questo va valutato caso per caso. Perché nei processi di comunicazione bisogna capire la necessità del Cliente. Vero è che per raggiungere "tutti" devi utilizzare più canali di comunicazione, creators inclusi (purché validi). Sempre nell'ottica di rafforzare il brand, le testate maggiori (vedi es. grandi quotidiani) ancora oggi accrescono il prestigio.
Il peggior cliente o giornalista per un ufficio stampa
Il peggior cliente è quello che non è in grado di darti un brief preciso, non ha chiaro dove vuole andare né sa definire le sue aspettative, e non ti ascolta. Inoltre non rispetta i patti economici.
Il peggior giornalista è quello che durante un evento inquina la conversazione con posizioni discutibili, è quello che ti tratta male/senza rispetto quando invece tu sei al suo servizio.
Una cosa che fa un buon ufficio stampa e una cosa che fa un cattivo ufficio stampa.
Ascolta il Cliente e il giornalista, per le necessità di ciascuno. Scrive un comunicato valido e dettagliato (che non è scontato) ed è in grado di fornire il materiale necessario.
Un cattivo ufficio stampa ignora il giornalista per enne motivi: per noi ogni richiesta merita una risposta. Spamma (si deve avere il coraggio di dire No al cliente). Scrive comunicati che iniziano tipo: "Nella splendida cornice..". Non rispetta le dead line del giornalista. Un cattivo ufficio stampa si atteggia da protagonista all'evento del suo cliente, quando invece è lì al suo servizio.
Liquirizia Studio
È vero: alcuni creators - pochi, ma ben selezionati - riescono a generare una conversione persino superiore rispetto a molte testate
Liquirizia Studio è il progetto di tre giovani professioniste amanti del cibo: Elena Straccamore, Roberta Guerini e Giulia Casali. Rappresentano alcuni ristoranti molto interessanti fra Milano e Roma e hanno un approccio abbastanza trasversale alla ristorazione.
Cosa fa un ufficio stampa e com’è cambiata questa professione negli anni?
Elena Straccamore: Tradizionalmente, l’ufficio stampa si occupava di curare i rapporti tra i locali e la stampa, sia di settore che generalista. Negli ultimi anni però, complice il profondo cambiamento del mondo dell’editoria e del giornalismo, anche il nostro ruolo si è evoluto. Nel nostro caso, quello di Liquirizia Studio, stiamo ampliando lo sguardo: oggi un ufficio stampa non può più limitarsi a inviare comunicati o organizzare cene stampa. Quelle dinamiche – la carrellata di articoli sulle nuove aperture, le classiche recensioni – appartengono a un’altra epoca. Oggi bisogna saper raccontare i progetti in modo più sfaccettato e lavorare su più fronti.
Conviene ancora lavorare con la stampa di settore? Che ritorno si ha da questo tipo di attività?
Se non ci credessimo, avremmo già abbandonato questa missione :) Ovviamente non esiste una risposta valida per tutti: ogni progetto ha bisogni diversi. Per noi, il compito di un ufficio stampa è quello di raccontare in modo coinvolgente ma autentico l’anima di un luogo, e far arrivare questo racconto alle persone giuste: giornalisti, certo, ma anche altre figure che possano amplificare il messaggio, in modi e canali diversi.
Non converrebbe investire solo sui creators, oggi? I giornali hanno ancora influenza sul consumatore finale?
È vero: alcuni creators - pochi, ma ben selezionati - riescono a generare una conversione persino superiore rispetto a molte testate. È anche per questo che il nostro lavoro include quasi sempre attività di digital PR. Per noi non è una questione di “o l’uno o l’altro”: mettiamo in campo tutte le risorse possibili per far conoscere un progetto. Un ufficio stampa che lavora esclusivamente con la stampa tradizionale, oggi, non basta. Bisogna sapersi muovere in modo fluido tra media diversi, a seconda del contesto e degli obiettivi.
Il peggior cliente o giornalista per un ufficio stampa
Il cliente che non considera l’ufficio stampa come un vero fornitore, con le dovute professionalità e responsabilità, è già un primo campanello d’allarme (vi lascio intendere le conseguenze). Ma anche quello che crede che basti “un po’ di ufficio stampa” per finire su tutte le guide gastronomiche o riempire il locale in tre mesi. Non facciamo magie. Se le facessimo, forse non saremmo qui, tra tutte le difficoltà che affronta quotidianamente il mondo della ristorazione.
I link più interessanti del periodo
The battle to be named the world's oldest restaurant (The Week)
Is It Soft Tofu’s Time? (Taste)
La cucina che si oppone al concetto di “fine” (Marie Claire)
What’s a Neighborhood Restaurant Without a Neighborhood? (The New Yorker)
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Il tappo intelligente che sfida l’ossidazione (Wired)
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