Il Noma chiude, ma di altre tante chiusure si parla poco. Si evita di parlare di come la ristorazione non sia sostenibile economicamente? O a nessuno frega nulla dei ristoranti che falliscono?
Il NOMA che chiude (annunciandolo un anno e mezzo d’anticipo) però è stata una pura trovata pubblicitaria per sviare l’attenzione mediatica dal disastro PR degli stagisti schiavi. Ha fatto il suo tempo, e specialmente questo NOMA 2.0 (quello rivoluzionario era il NOMA 1.0, se vogliamo essere pignoli). Largo ad altro, ed altri. E specialmente, largo alla riscoperta della
Cucina Mediterranea che di sti fermentati ovunque e giusto per non se ne può proprio più: c’è altro nella cucina oltre al pickling di tutto :)
Per i ristoranti che chiudono, altri aprono. Quelli che dispiace chiudano sono quelli che non sopravvivono al passaggio generazionale, un peccato. Ma si va avanti.
il tema qui non credo sia lo stile di cucina, nè è il format nè il modello di business ma la possibilità in assoluto che questo settore possa sopravvivere. Che il paradigma sia destinato a cambiare ne sono certo anche io (sarei curioso di conoscere come, secondo roberta e vic).Io ho una mia idea che prevede la totale scomparsa della "classe media" nella ristorazione.Sopravviverà la ristorazione di lusso (che sarà concentrata e non diffusa sul territorio), il resto sarà ristorazione "efficiente"
assolutamente no, perchè economicamente insostenibile. Gran parte dell'offerta nella ristorazione dovrà guardare alla standardizzazione non solo della materia prima e del prodotto finito (l'idea di piatto intendo, tanto già le idee sono morte con l'omologazione che c'è in giro) ma anche alla standardizzazione dei processi. Se il personale mi costa di più del passato e quello con un minimo di professionalità ancora di più dovro' pensare a dei processi che chiunque potrà replicare cosi da avere un bacino di candidati cui attingere più ampio e a minor costo (ovviamente più alto del passato). L'alto turnover per concedere i meritati riposi richiederanno processi talmente definiti e protocollati che un ristorante possa sostenere assenze e rotazioni senza grossi scompensi. La ristorazione "borghese", quella di qualita' ma non di lusso, richiedeva sacrifici economici e umani che oggi non si possono e non si voglio e non si riescono più a sostenere...il castello non sta in piedi e la risposta non è "se lavori bene se fai qualità bla bla bla" sopravvivi. L'edonismo è nella ricerca del piacere. Il piacere ormai sta nel far credere di provare piacere, anche se mangi cartone. Per quello ormai basta un click
Sarebbe bello trovare dei numeri. Due o tre ristoranti stellati che chiudono non è necessariamente “la fine dell’alta ristorazione” (solo in Italia ce ne sono 358).
L’economia degli stellati sembra essere precaria e basata sugli stagisti (come molti altri settori: editoria, architettura, pubblicità e studi legali per esempio). È normale che ogni tanto qualcuno vada a gambe all’aria.
Sarebbe interessante capire quali modelli di business stanno proteggendo l’alta ristorazione: da utente, vedo che qualcuno spinoffa nel catering, qualcuno fa brand extension vendendo ingredienti o facendo il testimonial dei gelati industriali. Nella moda succede più o meno la stessa cosa 😁.
no, non è la fine dell'alta ristorazione in assoluto, ma dei modelli fino ad ora avuti forse sì. Che i ristoranti gourmet/stellati/finedining non siano il più delle volte sostenibili è abbastanza un dato di fatto. Tantissime spese di mantenimento, soprattutto se si apre nelle città più importanti.
Nelle cucine degli stellati all'estero - in Italia ci sono delle regolamentazione più stringenti come ben sai - gli stagisti possono arrivare a numeri molto alti e superiori alle persone normalmente assunte. Gli stagisti al Noma, in più, non sono spesso ragazzini usciti dalle scuole di cucina; molte volte sono cuochi bravini o addirittura chef veri e propri, che vengono qui per apprendere tecniche, vero, ma che rappresentano anche forza lavoro per quei 3/4 mesi di permanenza.
Qui credo stia la differenze con l'editoria (altro settore non sostenibile per carità, ma per altri motivi) e gli altri settori che hai citato e che conosco meno. Non mi è mai capitato di lavorare con stagisti già formati a cui si dovesse spiegare poco in breve tempo; bravi sì, ma non così formati (giustamente) da poterli mettere già a fare dei lavori autonomi.
Modelli di business: non riesco a trovare un pezzo di Pambianco di uno o due anni fa, ma se ben ricordo si diceva come e quali attività fossero il core dell'economia degli chef più ricchi d'Italia. Spiccavano catering e società di consulenza, mi pare non i ristoranti. Parliamo di Bottura, Cannavacciuolo, Alajmo...
Sui dati a parte quelli riportati nella newsletter non ho trovato poi un granché; c'è sempre il rapporto FIPE, che abbiamo citato un paio di volte su Commestibile e che forse ha qualche ragguaglio in più
Bell’articolo!
Il NOMA che chiude (annunciandolo un anno e mezzo d’anticipo) però è stata una pura trovata pubblicitaria per sviare l’attenzione mediatica dal disastro PR degli stagisti schiavi. Ha fatto il suo tempo, e specialmente questo NOMA 2.0 (quello rivoluzionario era il NOMA 1.0, se vogliamo essere pignoli). Largo ad altro, ed altri. E specialmente, largo alla riscoperta della
Cucina Mediterranea che di sti fermentati ovunque e giusto per non se ne può proprio più: c’è altro nella cucina oltre al pickling di tutto :)
Per i ristoranti che chiudono, altri aprono. Quelli che dispiace chiudano sono quelli che non sopravvivono al passaggio generazionale, un peccato. Ma si va avanti.
il tema qui non credo sia lo stile di cucina, nè è il format nè il modello di business ma la possibilità in assoluto che questo settore possa sopravvivere. Che il paradigma sia destinato a cambiare ne sono certo anche io (sarei curioso di conoscere come, secondo roberta e vic).Io ho una mia idea che prevede la totale scomparsa della "classe media" nella ristorazione.Sopravviverà la ristorazione di lusso (che sarà concentrata e non diffusa sul territorio), il resto sarà ristorazione "efficiente"
Sarebbe bellissimo approfondire. Ristorazione che punta su efficienza e non su edonismo?
assolutamente no, perchè economicamente insostenibile. Gran parte dell'offerta nella ristorazione dovrà guardare alla standardizzazione non solo della materia prima e del prodotto finito (l'idea di piatto intendo, tanto già le idee sono morte con l'omologazione che c'è in giro) ma anche alla standardizzazione dei processi. Se il personale mi costa di più del passato e quello con un minimo di professionalità ancora di più dovro' pensare a dei processi che chiunque potrà replicare cosi da avere un bacino di candidati cui attingere più ampio e a minor costo (ovviamente più alto del passato). L'alto turnover per concedere i meritati riposi richiederanno processi talmente definiti e protocollati che un ristorante possa sostenere assenze e rotazioni senza grossi scompensi. La ristorazione "borghese", quella di qualita' ma non di lusso, richiedeva sacrifici economici e umani che oggi non si possono e non si voglio e non si riescono più a sostenere...il castello non sta in piedi e la risposta non è "se lavori bene se fai qualità bla bla bla" sopravvivi. L'edonismo è nella ricerca del piacere. Il piacere ormai sta nel far credere di provare piacere, anche se mangi cartone. Per quello ormai basta un click
Sarebbe bello trovare dei numeri. Due o tre ristoranti stellati che chiudono non è necessariamente “la fine dell’alta ristorazione” (solo in Italia ce ne sono 358).
L’economia degli stellati sembra essere precaria e basata sugli stagisti (come molti altri settori: editoria, architettura, pubblicità e studi legali per esempio). È normale che ogni tanto qualcuno vada a gambe all’aria.
Sarebbe interessante capire quali modelli di business stanno proteggendo l’alta ristorazione: da utente, vedo che qualcuno spinoffa nel catering, qualcuno fa brand extension vendendo ingredienti o facendo il testimonial dei gelati industriali. Nella moda succede più o meno la stessa cosa 😁.
Ciao Alessandro,
no, non è la fine dell'alta ristorazione in assoluto, ma dei modelli fino ad ora avuti forse sì. Che i ristoranti gourmet/stellati/finedining non siano il più delle volte sostenibili è abbastanza un dato di fatto. Tantissime spese di mantenimento, soprattutto se si apre nelle città più importanti.
Nelle cucine degli stellati all'estero - in Italia ci sono delle regolamentazione più stringenti come ben sai - gli stagisti possono arrivare a numeri molto alti e superiori alle persone normalmente assunte. Gli stagisti al Noma, in più, non sono spesso ragazzini usciti dalle scuole di cucina; molte volte sono cuochi bravini o addirittura chef veri e propri, che vengono qui per apprendere tecniche, vero, ma che rappresentano anche forza lavoro per quei 3/4 mesi di permanenza.
Qui credo stia la differenze con l'editoria (altro settore non sostenibile per carità, ma per altri motivi) e gli altri settori che hai citato e che conosco meno. Non mi è mai capitato di lavorare con stagisti già formati a cui si dovesse spiegare poco in breve tempo; bravi sì, ma non così formati (giustamente) da poterli mettere già a fare dei lavori autonomi.
Modelli di business: non riesco a trovare un pezzo di Pambianco di uno o due anni fa, ma se ben ricordo si diceva come e quali attività fossero il core dell'economia degli chef più ricchi d'Italia. Spiccavano catering e società di consulenza, mi pare non i ristoranti. Parliamo di Bottura, Cannavacciuolo, Alajmo...
Sui dati a parte quelli riportati nella newsletter non ho trovato poi un granché; c'è sempre il rapporto FIPE, che abbiamo citato un paio di volte su Commestibile e che forse ha qualche ragguaglio in più
https://www.confcommercio.it/documents/20126/4108528/Rapporto+ristorazione+2023.pdf/a492ca3f-5994-dc6f-c2f0-38625e9e9f7e?t=1680594562787
Grazie mille della risposta! Mi leggo il report!