Ristoranti che chiudono, e che talvolta non fanno notizia
Il Noma chiude, ma di altre tante chiusure si parla poco. Si evita di parlare di come la ristorazione non sia sostenibile economicamente? O a nessuno frega nulla dei ristoranti che falliscono?
/ Commestìbile / #8
“I due pilastri della moderna alimentazione sono il ristorante e il libro di ricette […]. Entrambi sono moderni. Fino al diciannovesimo secolo non esistevano grandi libri di ricette e non c’erano posti dove andare a mangiare in cambio di denaro che assomigliassero a quelli in cui si va oggi”. Adam Gopnik
Avrete notato come i magazine di cibo dedichino spesso articoli compilativi sui nuovi bar e ristoranti appena aperti: su Milano sempre esaustivo il listone su Conosco un Posto; CiboToday adesso sta cercando di farne ad hoc sulle principali città d’Italia. Randomicamente altri giornali si occupano di tirare le fila delle novità, soprattutto su Roma e Milano.
I pezzi che si vedono meno spesso sono, invece, quelli sulle chiusure dei ristoranti. Se ne occupa spesso Emanuele Bonati su Scatti di Gusto, giornalista che si prende la briga di fare riassuntoni per Milano, anche per indirizzi meno blasonati. Perché senza dubbio ci sono chiusure che fanno più o meno notizia. Prendete quella del Noma, programmata il prossimo anno, che mette in crisi un sistema, quello dell’alta cucina, che ha bisogno di molto staff, e che non riesce a pagarlo. Non a caso dal 2022, anno in cui René Redzepi ha finalmente annunciato che avrebbe iniziato a pagare i suoi stagisti, le uscite del suo ristorante sono aumentate esponenzialmente, di circa 50.000 euro secondo questo articolo. Poco più tardi è poi arrivato l’annuncio della chiusura, stando alle dichiarazioni dello chef, a causa dell’impossibilità di pagare lo staff.
Il Noma è stato per anni l’emblema di quello che non andava, e non va, nel sistema dei migliori ristoranti al mondo: i cuochi/stagisti pregano per essere presi e per lavorare gratis. Ma senza i cuochi/stagisti quel tipo cucina semplicemente non funziona.
Il sommario di questa Newsletter
Ristoranti che chiudono: qualche dato
Ristoranti chiusi a Milano e non
Parliamo con una ristoratrice che ha dovuto chiudere il suo locale
Cosa facciamo su Instagram
Tutti i link di questa newsletter
Un amico l’altro giorno prendendo un caffè da Orsonero, a Milano, ci ha chiesto “secondo voi il fine dining si riprenderà mai?”. Secondo molti no, secondo altri, noi comprese, la ristorazione cambierà drammaticamente nei prossimi anni, e a breve vedremo un’importante cambio di paradigma.
E alcune grandi chiusure degli ultimi tempi potrebbero testimoniare un sistema ormai stanco, fatto di personale pagato poco e male.
Qui facciamo un punto pre-ferie sui ristoranti chiusi nell’ultimo periodo, soprattutto a Milano. Parleremo, poi, con chi è stata costretta a chiudere il proprio locale, menzionando anche le implicazioni psicologiche di quando si abbassano le serrande. Perché un ristorante è un investimento economico, certo, ma spesso ha a che fare con speranze e identità di chi lo apre.
Qualche dato sui ristoranti chiusi in Italia
Ancora oggi in Italia esiste un’attività ristorativa ogni 166,6 abitanti
Intanto un po’ di dati per capire il trend degli ultimi anni. Secondo questa analisi di Italia a Tavola, che si rifà anche a dati divulgati dal Corriere della Sera, sarebbero 17.804 le cessazioni attività da fine 2021 a fine 2022.
Il saldo negativo totale sarebbe di -3.777 ristoranti e bar, un incremento abbastanza importante rispetto al 2021 che invece aveva un saldo negativo di -1.963.
Qui non daremo colpa al caro bollette, al Covid o alla presunta “mancanza della voglia di lavorare dei giovani”, sebbene tutto faccia concorso a una situazione di stanchezza, dove forse la rincorsa al ristorante buono, bello e giusto è venuta meno perché insostenibile economicamente.
In questo pezzo di Dissapore, Dario De Marco, parlava dei dati del Rapporto 2022 dell’Osservatorio Ristorazione da un’altra prospettiva. I ristoranti sono sempre meno, vero, ma ancora oggi in Italia esiste un’attività ristorativa ogni 166,6 abitanti. Ci sono troppi bar, tavole calde e ristoranti. Il mercato è affollato e manca staff: i giovani che prima del Covid lavoravano per pochi spicci in sala adesso vogliono fare altro. E hanno ragione.
Ma chi è che chiude? Il profilo è difficile da tracciare, ma abbiamo trovato interessante questo pezzo di Repubblica su Torino, nel quale si parla di come negli ultimi 10 anni—stando a una ricerca empirica che poco ha a che fare con le vere statistiche—, nella città piemontese abbia chiuso il 30% dei locali che nel 2013 erano considerati i migliori della città. Le attività che più hanno sofferto sarebbero quelle che hanno proposto menu elaborati e una cucina mediamente più costosa. Le piole, che sarebbero le trattorie torinesi, hanno invece attutito il colpo. Questo perché i torinesi mangiano più volentieri in trattoria? Forse, ma probabilmente perché questo tipo di attività ha bisogno di meno personale e ha costi di gestioni più bassi, ammortizzati anche dal sistema famigliare (quando c’è).
Una breve carrellata di ristoranti chiusi negli ultimi mesi
Andiamo un po’ a caso e iniziamo da Milano.
Il Botanical Club, cocktail bar che aveva diverse sedi in città, ha chiuso in via Melzo; qui aveva aperto un altro cocktail bar, già chiuso, e dove dovrebbe aprire Denis Pizza di Montagna. Il Botanical Club resta attivo in via Tortona e in via Pastrengo; più recentemente, però, ha chiuso anche Champagne Socialist - dello stesso gruppo - che aveva inaugurato una sede in via Tabacchi, dopo quella di Porta Venezia in via Lecco. Al suo posto in via Tabacchi, adesso, c’è un’altra vineria.
Ha fatto abbastanza notizia la chiusura di Filippo La Mantia al Mercato Centrale di Milano, accompagnata dalla solita retorica sul personale; prima di lui, però, negli stessi spazi aveva chiuso anche il ristorante toscano Rendez-Vous di Marciana Marina. Il Mercato Centrale, purtroppo, ha subito diverse defezioni dalla sua apertura che risale a meno di 2 anni fa: recentemente hanno lasciato anche i ragazzi di Crosta. A sentire gli addetti ai lavori i costi dello spazio all’interno del Mercato Centrale sarebbero troppo onerosi e i ristoratori, nonostante l’incremento enorme dei prezzi, non riescono a starci dentro.
Sempre a Milano ha chiuso il bellissimo cocktail bar Octavius al The Stage e, stando a diverse fonti, si parla di una chiusura de il Trussardi alla Scala: il ristorante sarebbe attualmente chiuso e molti dei dipendenti sarebbero stati assorbiti da altri locali dello chef Perbellini. Il bar riaprirà, invece, ma pare sia in cerca di una nuova gestione. Per il momento online si parla solo di una crisi economica, ma pare che la chiusura sia già in essere.
Chiuso al momento anche Immorale Bistrot, mentre Immorale Osè è aperto solo su prenotazione. Gli chef di entrambi i locali non fanno più parte del gruppo e il futuro delle due insegne non è chiarissimo.
Chiude anche il risto-hotel Al Naviglio dopo meno di due anni; il nome dietro il progetto era quello di Carlo Cracco, anche se lo chef non c’entrava già da tempo con il locale, al quale pare avesse fatto solo una consulenza iniziale.
La Madonnina a Milano, con la nuova gestione
A Milano si era parlato tantissimo della chiusura della storica trattoria milanese La Madonnina in zona Ticinese; in realtà, dopo i clamori iniziali dei giornali, si è scoperto che il ristorante sarebbe rimasto aperto, a cambiare sarebbe stata solo la gestione. Gestione che per il momento ha alzato i prezzi, come prevedibile, ma al tempo stesso anche la qualità media dei piatti, che prima era un po’ bassa.
Il resto d’Italia
Scusateci se sul resto d’Italia siamo meno brave con i recap, però se volete segnalare chiusure importanti potete farlo nei commenti, così da arricchire questa newsletter. Come dicevamo, reperire notizie sui ristoranti chiusi, è sempre difficile.
Chiude, come ben sappiamo il St Hubertus, tre stelle Michelin: Norbert Niederkofler ha detto inizialmente che la chiusura era dovuta alla ristrutturazione dell’hotel che ospita il ristorante, ma è dato per assodato che non riavremo il ristorante gourmet di prima: “Ci fermiamo per un anno e mezzo per lavori e dobbiamo ridefinire tutto il concetto della ristorazione.” Intanto, però, Niederkofler apre un nuovo posto a Brunico, quindi gli appassionati della cucina di montagna “buona e giusta” potranno farsene una ragione
A Bergamo chiude Trattoria Brosetti, una trattoria contemporanea che ci era molto piaciuta e che ha cessato purtroppo attività a febbraio 2023. Chiude anche Il Tipico, un’istituzione locale nel genovese.
A Forlì ha abbassato le saracinesche un locale punto di riferimento della città: Le Querce in via Ravegnana.
A Roma chiude il ristorante della star di Masterchef Valerio Braschi, che però apre a Milano una nuova insegna.
Chiudere un ristorante: l’esperienza di Nora Tadolini
Penso anche che l’alta cucina sia un po’ morta; non so, se avessi avuto più tempo (e più denaro) sarei riuscita ad avviarlo meglio
In provincia di Bologna ha chiuso, purtroppo, Posto Ristoro un progetto di cucina inclusiva, in tutti i sensi. E di chiusura, e delle implicazioni anche psicologiche, abbiamo parlato con Nora Tadolini, proprietaria del ristorante.
Posto Ristoro era un bel ristorante con un'offerta anche particolare per la zona. Perché è arrivata la chiusura?
Nora Tadolini: La nostra offerta era molto lontana dallo standard bolognese, facevamo una cucina dove usavamo ingredienti alternativi e tecniche di alta cucina, utilizzo costante di fondi bruni, selvaggina, animali da piuma, non usavamo i soliti pesci e avevamo molta attenzione anche nelle ricette vegetali. Esaltavamo i secondi in una città votata ai primi piatti. Non siamo state capite, e il mondo (delle ristorazione) è cambiato tanto negli ultimi tre anni. Il Covid ci ha segnato, sono cambiate le abitudini, le persone si sono impoverite, Bologna si è gentrificata, un po’ come Milano, ed è diventata sempre più una città di servizi, con la popolazione abituata a scappare via per il weekend. Ci sono i turisti, certo, ma loro cercano la tradizione cosa che noi non facevamo, e non eravamo in centro.
Facevamo un’offerta di alta cucina “low cost”, chi abituatə a frequentare locali stellati rimaneva entusiastə, chi aveva curiosità e si affidava idem. Penso anche che l’alta cucina sia un po’ morta; non so, se avessi avuto più tempo (e più denaro) sarei riuscita ad avviarlo meglio.
La decisione di chiudere come ha impattato sulla tua salute mentale (se ha impattato)?
Aprire Posto Ristoro ha impattato fin da subito sulla mia salute mentale: sono una persona molto emotiva ed empatica che capta molto bene quello che le succede intorno. Avere a che fare con le persone che lavoravano con me, e con le persone che fruivano del ristorante, è stata la parte più difficile in assoluto. I rapporti umani erano la cosa a cui tenevo di più e quelli che mi hanno messo in costante discussione. Mi immaginavo un ristorante dove tutte potevamo essere alla pari, quasi senza gerarchia, dove potessimo esprimerci al meglio. Ci sono riuscita? Mi sa di no. La decisione della chiusura mi ha fatto molto soffrire e la sto ancora metabolizzando; fino a quando non lo venderò credo mi passerà difficilmente. Nell’ultimo anno mi sono permessa di pensare che sarebbe potuta andare male, che forse non ce l’avrei fatta, e mi sono perdonata, perché in fondo io non sono Posto Ristoro, sono tanto altro. Posto Ristoro è stato il mezzo che mi ha fatto capire quanto valgo, quanto sono brava e quanto sbaglio. Sono felice di averlo fatto, lo avrei altrimenti rimpianto per tutta la vita.
Se dovessi riaprire un nuovo ristorante, cosa ti porteresti dietro da questa esperienza?
Mi auguro vivamente di non aprire mai più un ristorante! Ahahhahah! Però non fraintendetemi: mi sono anche divertita, condiviso gioie e dolori con clienti e con le ragazze. Notti di sciabolate, karaoke e pranzi e cene stellari. Insomma dai non è stato tutto na merda
Che consiglio daresti a qualcuno che vuole aprire un locale adesso?
Gli consiglierei di trovare un format il più semplice possibile, monotematico, tipo hot dog a tutti i gusti. Con scontrino medio 10/15€, che faccia anche take away con meno spese di gestione e meno personale possibile.
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Troppi ristoranti: in Italia i locali diminuiscono, ma non abbastanza (Dissapore)
Ristoranti e trattorie di qualità, a Torino negli ultimi 10 anni il 30% ha chiuso (Repubblica)
La crisi Trussardi mette a rischio il ristorante di Giancarlo Perbellini: gli scenari per l’autunno (Il Giorno)
Ecco i piatti di Niederkofler alla vigilia della nuova apertura di Brunico a Villa Moessmer (Gambero Rosso)
Bell’articolo!
Il NOMA che chiude (annunciandolo un anno e mezzo d’anticipo) però è stata una pura trovata pubblicitaria per sviare l’attenzione mediatica dal disastro PR degli stagisti schiavi. Ha fatto il suo tempo, e specialmente questo NOMA 2.0 (quello rivoluzionario era il NOMA 1.0, se vogliamo essere pignoli). Largo ad altro, ed altri. E specialmente, largo alla riscoperta della
Cucina Mediterranea che di sti fermentati ovunque e giusto per non se ne può proprio più: c’è altro nella cucina oltre al pickling di tutto :)
Per i ristoranti che chiudono, altri aprono. Quelli che dispiace chiudano sono quelli che non sopravvivono al passaggio generazionale, un peccato. Ma si va avanti.
Sarebbe bello trovare dei numeri. Due o tre ristoranti stellati che chiudono non è necessariamente “la fine dell’alta ristorazione” (solo in Italia ce ne sono 358).
L’economia degli stellati sembra essere precaria e basata sugli stagisti (come molti altri settori: editoria, architettura, pubblicità e studi legali per esempio). È normale che ogni tanto qualcuno vada a gambe all’aria.
Sarebbe interessante capire quali modelli di business stanno proteggendo l’alta ristorazione: da utente, vedo che qualcuno spinoffa nel catering, qualcuno fa brand extension vendendo ingredienti o facendo il testimonial dei gelati industriali. Nella moda succede più o meno la stessa cosa 😁.