L'odio per chi beve vini naturali, spiegato
Meme sui vignaioli artigianali, odio per le enoteche 'tutte uguali', il rischio dell'omologazione.
/ Commestìbile / #7
“Parafrasando Ginsberg, si potrebbe dire con un po’ di ironia che ho visto le menti migliori della mia generazione perdersi nel nettare dei vini naturali mentre intanto l’estrema destra si prendeva l’elettorato e il paese.”1
Un paio di anni fa sono andata a mangiare in un ristorante noto per la sua carta dei vini piena zeppa di etichette naturali, e per la militanza social del suo proprietario contro le cantine ‘convenzionali’ e industriali. Qualche ora più tardi una mia collega mi avverte che la mia story su Instagram, quella in cui semplicemente immortalavo una delle bottiglie bevute durante il pranzo, era stata screenshottata e pubblicata su un gruppo Facebook che perculava sia me che il ristorante dove l’avevo bevuta.
Erano degli hater di vino naturale e di chi lo beveva.
Da Italianwinedrunkposting su Instagram
Il sommario di questa Newsletter
Brevissimamente: cosa sono i vini naturali
Se bevi vini naturali ti perculo
Chi fa meme sul vino naturale
3 professionisti del mondo del vino ci dicono la loro
Tutti i link di questa newsletter
Cosa sono i vini naturali
Su cosa sia il vino naturale e se sia meglio chiamarlo artigianale, a basso impatto, nudo, selvatico o chilosa, ci sono diversi dibattiti in corso. Qui cercava di spiegarlo a ‘sua madre’ Diletta Sereni, giornalista che per anni si è occupata di raccontare storie sui vignaioli naturali. L’articolo ha i suoi anni—è del 2018—ma a nostro parere riesce a spiegare ancora bene di cosa stiamo parlando, in modo abbastanza comprensibile. Prendo questo stralcio:
“Per quanto la parola [naturale] sia opinabile (in fondo ogni parola lo è, ma non mi addentrerò per questa via) la definizione è più o meno condivisa. Un vino naturale nasce da una viticultura che esclude tutte le sostanze chimiche di sintesi (pesticidi, diserbanti, concimi), tratta solo con rame e zolfo ed è orientata alle basse rese.”
Aggiungo un altro pezzettino di questo articolo di Intravino, invece più recente:
Il produttore “naturale”, per usare la definizione provocatoria della scrittrice e wine writer americana Alice Feiring, è chi fa vino “senza schifezze dentro”. La sua è una posizione parziale, perché quella della Feiring è tra le voci più prestigiose e note del panorama dei vini naturali (d’ora in poi senza virgolette), ma con quel “senza schifezze dentro” l’autrice punta il dito contro gli oltre settanta additivi consentiti nella vinificazione negli Stati Uniti come in Europa
Intervenire meno possibile in vigna e in cantina: questo dovrebbe essere una delle basi del vino naturale. E non “mettere schifezze” al suo interno, che altrimenti si finisce come negli anni ‘80 in Italia, con lo scandalo del metanolo (per approfondire vi rimandiamo al podcast di Will sull’argomento). Si estremizza, certo, ma è per farvi capire dove avviene il dibattito.
I detrattori del vino naturale dicono una cosa abbastanza semplice: la maggior parte delle volte tutti questi “pochi interventi” in vigna portano a vini che sanno di piedi/formaggio/lievito, e sono tecnicamente sbagliati.
Comunque vi basti sapere che in Italia il vino naturale giuridicamente non esiste, quindi anche per questo il dibattito è acceso e porta spesso a insulti succulenti sui social. In Francia dal 2020, invece, c’è stato il riconoscimento del vino naturale, con tanto di disciplinare che i vignaioli devono rispettare per ottenere il bollino “Vin méthode nature”.
Se bevi vini naturali ti perculo
Erano gli ‘00 e gli hipster di Williamsburg a Brooklyn iniziavano ad essere protagonisti di meme online in quasi tutto il mondo; eccoci qui invece negli anni ‘20 con una certa parte del mondo del vino, che ha una missione: denigrare il bevitore e la bevitrice di vino naturale.
Fra i detrattori di questo mondo anche il cantautore Vinicio Capossela, che ha tirato in ballo la sinistra e la mancanza militanza in una celebre intervista del Gambero Rosso. Ci siamo rincoglioniti e pensiamo più al vino che sa di piedi che a combattere la destra di Giorgia Meloni? Il consumo di un vino, e la preferenza per un certo tipo di enoteca, fa di noi dei cattivi cittadini di sinistra? Secondo Capossela un po’ sì.
Chi fa meme sul vino naturale
Noi preferiamo bere vini, non sogni. Il problema per il vino naturale, come per la vita contadina, è la sua iper-romanticizzazione.
Quando parlavamo nell’introduzione di una pagina che prende per i fondelli i vini naturali, parlavo di questa: Italian Wine Drunkposting, una community di amanti del vino su Facebook e su Instagram. La pagina non è il nostro a livello di contenuti, soprattutto perché alcuni post nel tempo ci sono sembrati un filo sessisti (ma forse è stata una svista). Ci interessava, però, capire il loro punto di vista sul vino e sui bevitori di vino naturale, quindi gli abbiamo fatto qualche domanda e loro sono stati molto gentili nel rispondere.
Con che intento nasce la pagina e chi è il vostro pubblico?
La pagina nasce nel 2020 come un progetto solitario con l’obiettivo di fare meme originali sul mondo del vino. Tre anni dopo, inaspettatamente, ci troviamo ad essere una vera e propria community resa viva da una folta fanbase (+5000) che ogni giorno fornisce materiale in termini di contenuti e di temi caldi da trattare.
Identikit di chi fa parte della vostra community
Enologi, sommelier, agronomi, commerciali, brand ambassador, enotecari, ristoratori, camerieri, addetti alle visite e più o meno chiunque condivida quello che più o meno inconsapevolmente è il nostro obiettivo: rompere il patto narrativo su cui si fonda la comunicazione del vino in Italia grazie alla satira enologica. Niente di sacro, nemmeno il vino. E circa un anno fa, con la prima stagione di podcast, ho deciso di spingere l'asticella un po' più in là per dar voce alla fanbase e discutere con professionisti del nostro settore di comunicazione, lavoro, giornalismo e soprattutto per conoscerli dal vivo.
Molti dei vostri post polemizzano o comunque parlano non positivamente della moda dei vini naturali/artigianali: perché?
Perché noi preferiamo bere vini, non sogni. Il problema per il vino naturale, come per la vita contadina, è la sua iper-romanticizzazione. E che poi chi ne parla—guarda a caso mai male perché diciamolo l'utopia ha sempre un certo fascino—si perde nel trovare artifici retorici per giustificare gravi lacune tecniche in vigna e cantina. Ci sono produttori, enologi, consulenti ed enotecari che fondano la propria attività su questo, sul gettare fumo negli occhi del consumatore. Quello che il vinnaturista non capisce è che lui è liberissimo di bere ciò che vuole e noi al tempo stesso siamo liberi di svelare non solo il dietro le quinte, ma anche di fare presente come ci siano sul mercato vini sbagliati. E non per questioni di stile, ma perché fatto con uve poco sane, frutto di errori in vinificazione e mancanza di igiene nella gestione di cantina.
Come pensate si evolverà questa passione per i vini?
Si berrà sempre meglio, si berrà sempre meno. Tutte le statistiche sul consumo di vino lo confermano e l’arrivo sul mercato di un numero crescente di bevande senza alcol o con basso titolo alcolometrico accelererà questa tendenza. Negli anni si è piantata troppa vite in zone non vocate e oggi abbiamo troppo vino in casa che non riusciamo a vendere. A tutto ció aggiungiamo il cambiamento climatico, la maggiore aggressività delle patologie fungine, i crescenti costi energetici e delle materie prime. Chi sopravviverà nel mondo del vino naturale? Chi sarà capace di fare il salto di qualità da piccolo a medio imprenditore, chi sarà in grado di raggiungere una certa massa critica di prodotto con qualità costante. Pesa anche una politica che ignora deliberatamente i problemi del nostro settore piegandosi ai grossi imbottigliatori o alle cooperative, le quali anno dopo anno garantiscono margini di guadagno sempre inferiori. La Coldiretti e il Ministro Lollobrigida ci fanno ridere poiché sono un chiaro esempio di demagogia vitivinicola, e ci fa ridere pure la battaglia ecologica superficiale e falsamente programmatica portata ciclicamente avanti da testate come il Corriere, Gambero Rosso, Dissapore, Munchies-Vice etc.
Qual è una buona bottiglia di vino secondo voi?
Una buona bottiglia di vino è quella che si abbina perfettamente all’umore delle persone. Personalmente, non riesco a fare a meno di tre vini: 5 di Podere Le Boncie di Giovanna Morganti, una mano di grande sensibilità nell’interpretare l'elettricità del sangiovese di Castelnuovo Berardenga. Il PerFranco di Bergianti con la sua bollicina dinamica e tagliente perché me lo impongono le mie origini emiliane. Collio Bianco di Edi Keber, un estratto di roccia nel bicchiere con concessioni di fiori ed erbe aromatiche, da bere benissimo oggi o fra dieci anni.
Sommelier che ammirate online (IG, FB o sui digital magazine)
Sul fronte dei professionisti mi posso fidare di Andrea Moser che, oltre ad essere un enologo di livello più unico che raro, sta conducendo una bella opera di divulgazione su Instagram. Tommaso Ciuffoletti, come dice sempre, è “ricco di famiglia” e questo gli consente di fare quei lavori di approfondimento, gli unici pezzi con un certo spessore che tengono ancora in vita la community di Intravino, lavori che gli altri non possono/vogliono fare poiché troppo impegnati a classificare risotti, granite o vini rosati per conto di periodici che ormai non legge più nessuno. La strana coppia di romagnoli formata da Nelson Pari e Iacopo Casadio, entrambi dotati di grande ironia e competenza ha appena iniziato a darci grandi soddisfazioni. Ah, sono anche sexy.
3 professionisti del mondo del vino ci dicono la loro
Adesso ti dicono cose come “no ma il vino naturale non esiste, senza l’uomo il vino non esiste”. Ho capito, ma come lo chiami un vino che è uva fermentata e basta?
La questione della satira è sacrosanta; in un piccolo mondo come il vino rende tutto più leggero. Pensiamo dall’altra parte a pagine Instagram come coolwinekidsonly o shittywinesmeme, che fanno onestamente sorridere.
Michele Bontempi, ristoratore de La Dispensa del Benaco, consulente e grande conoscitore di tutto il mondo dei naturali, è uno forse dei personaggi più “amati” da chi percula il consumo smodato dei vini a basso impatto.
Secondo te perché tutto questo odio per il vino naturale?
Secondo me non c’è odio c’è tanta ignoranza, perché quando parli di biodinamica e la gente dice che la biodinamica non esiste, o che la biodinamica non cambia niente, e poi scopri che i più grandi vini del mondo—Leroy, Romanée Conti—, sono in biodinamica dagli anni ‘80; questo già gli fa capire delle cose, no? Ciò detto, il vino non deve puzzare, non deve sapere di aceto, non deve sapere di salame né di cacca, ma il vino deve esprimere quello che è successo in una determinata annata, in un determinato terroir. Punto.
Quindi secondo me non c’è un odio. Il 90% dei detrattori di questo tipo di vino, quando esce da qui si è ricreduta; chiaramente non gli faccio assaggiare i miei vini più estremi, gli faccio assaggiare vini senza solforosa, senza chimicate, ma perfetti. Direi che la parte più difficile è quella di capire chi hai di fronte e gestirlo al meglio, ed è per questo che servono 20 anni di esperienza.
Cosa ne pensi della definizione vini naturali? Meglio artigianali?
Secondo me non bisogna aver paura di chiamarli vini naturali, perché la parola vino naturale è l’unica parola che crea un punto di rottura tra la merda chimica, e quelli che lavorano senza alcun uso di chimica. Adesso ti dicono cose come “no ma il vino naturale non esiste, senza l’uomo il vino non esiste”. Ho capito, ma come lo chiami un vino che è uva fermentata e basta?
Alla Dispensa si bevono solo vini a basso impatto o anche convenzionali?
In dispensa si bevono quasi 1500 etichette, al 99% sono tutti super naturali, super artigianali. Ci sono bottiglie di Krug, che rimane un grandissimo vino a prescindere che sia naturale o meno, anche se poi indaghi capisci che Krug è molto meno chimico di quello che pensa la gente. C’è qualche piemontese che non si potrebbe definire prettamente naturale, però sono partono tutti da fermentazione spontanea, questa è la mia base, se non fai fermentazione spontanea in Dispensa non entri.
Cosa pensi di alcuni account su FB e IG che ti prendono in giro?
Questi account, chiamiamoli “degli haters”, mi fanno ridere: a volte mi girano qualche storia e rido, alla fine è tutta pubblicità a me e al locale, dunque ben venga. Poi purtroppo quella gente lì è gente che ha bevuto aceto fino a ieri, che non sa neanche di che cosa parlo quando parlo.
Qui è tutto molto confusionario; che cavolo vuole dire naturale? Ok, il minor intervento in vigna è una figata, sì ma lo sai capire dal bicchiere?
Alessia Taffarel è una sommelier, ha lavorato per molti anni nella sala di Contraste a Milano—una stella Michelin—e adesso fa la consulente per le nuove aperture in giro per l’Italia.
Perché il mondo del vino convenzionale odia i naturalisti?
Non so se “odio” sia la parola giusta, forse c’è grande confusione: in Italia il vino naturale praticamente non esiste, non c’è nessun decreto che lo introduca, ci sono varie associazioni come Vinnatur o Viniveri, ma non come in Francia che si sono svegliati prima come al solito. Qui è tutto molto confusionario; che cavolo vuole dire naturale? Ok, il minor intervento in vigna è una figata, sì ma lo sai capire dal bicchiere?
Ai tuoi clienti proponi solo vini a basso impatto o anche “convenzionali”? Che percentuale scelgono quando prendono bottiglie?
Propongo tutto al ristorante, capisco sempre chi ho di fronte, dove sono, con che vino lavoro, anche perché non metto il mio IO in primo piano ma il cliente. La percentuale più alta è comunque quella del vino naturale, ma quello fatto bene.
Sicuramente il mondo del vino convenzionale si è sentito insidiato dal punto di vista del mercato e ha reagito in una maniera molto violenta denigrando tutto il movimento.
Abbiamo cercato l’opinione anche di uno che con i vini naturali ci lavora, ma dalla parte della distribuzione. Leonardo Di Zanni lavora per Enoidea, è un agente e sommelier, e serve molti locali che offrono vini naturali a Milano.
Perché il mondo del vino convenzionale odia chi consuma i vini naturali?
Sono discorsi molto complessi e molto difficile ridurli a quale frase a effetto, ma ci provo: sicuramente il mondo del vino convenzionale si è sentito insidiato dal punto di vista del mercato e ha reagito in una maniera molto violenta denigrando tutto il movimento. Dall’altra parte il mondo del vino naturale si è auto-ghettizzato e ha mantenuto un atteggiamento di superiorità molto forte.
Tieni conto che sono parte del movimento del vino naturale da vent’anni; ho partecipato alla prima rivoluzione del vino naturale nel 2003, e quindi conosco bene tutte le evoluzioni, e ti dico che mediamente c’è questo atteggiamento di superiorità che non ha più neanche troppo senso forse l’aveva al momento della prima rivoluzione.
Ma adesso ci sono dei paradossi, perché volendo la vera ecosostenibilità possono farla forse i grandi gruppi che hanno grandi possibilità di investimento, che possono investire in pannelli solari e quant’altro. Fare ecosostenibilità non è facile, c’è bisogno di investimenti, e quindi il paradosso è che sono i grandi gruppi che possono permettersi di essere più a impatto zero del piccolo produttore.
Quale atteggiamento non ti piace da parte dei produttori di vino naturale?
Ci sono sicuramente dei personaggi che hanno ancora atteggiamenti di superiorità, che ti dico la verità mi sono un pochettino invisi.
Qual è la percentuale di vini a basso impatto contro “convenzionali” che avete in listino?
La percentuale dei vini che tratta la mia agenzia è molto molto sbilanciata sul vino diciamo a basso impatto, ti direi addirittura un 60/40.
Che percentuale sono i locali/ enoteche che comprano solo naturale?
I locali che tratto io personalmente, non quelli della mia agenzia, sono praticamente quasi tutti dedicati al vino al basso impatto, dunque ti direi una percentuale superiore all’ 80%. Fra i miei clienti personali, lo 0% compra vino convenzionale, però questo non fa statistica: il mercato del vino naturale è ancora molto molto di nicchia, stiamo parlando del 2/3 %, non di più.
Il vino naturale è ancora di nicchia come dice Di Zanni; certo è di gran moda parlarne sulla stampa di settore, ma ciò non deve farci vedere il fenomeno più grande di quello che è. Il paese reale, di quello che avviene nelle cantine naturali dell’Oltrepò Pavese, ne sa ancora poco e niente.
È interessante, però, dare uno sguardo veloce anche al dibattito all’estero; ad esempio in USA il fenomeno sembra aver stancato, almeno nei ristoranti. Questo articolo di Bon Appétit è del 2022, e decretava già come le carte di vino naturale avessero già perso la loro coolness, soprattutto a causa di bottiglie molto spesso uguali ovunque, da New York al Vermont.
Ma il punto è che il vino naturale, diversamente da quello tradizionale, è davvero una scelta non solo di bevuta, si è configurata come una scelta generazionale: le fiere di vino naturale sono piene di giovani e giovanissimi; le enoteche votate al naturale avvicinano una certa clientela fra i 25 e i 40. Ci si identifica con una bottiglia, una cantina, un vignaiolo, più volentieri che con un movimento politico. Come gli hipster con la birra artigianale fatta in garage.
Ha dunque ragione Capossela a darci le colpe dell’inefficienza della sinistra?
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“Si berrà sempre meglio, si berrà sempre meno”. Verissimo. Ben detto.
E aggiungo: si farà sempre più fatica a trovare vino buono - perché se lo stanno comprando in Cina e altri paesi, vedi Borgogna introvabile.
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