6 Commenti

Potrei scrivere molto sui titoli che altri hanno dato ai miei articoli (il più delle volte travisandone il contenuto) :D

Comunque sì, il mestiere di titolista dovrebbe proprio tornare (e non sarei in grado di farlo).

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Quello è sempre rischioso; anche io ho avuto da ridire con autrici e autori che non si riconoscevano in un titolo che avevo impiegato. È un talento, come scrivo, e ci vuole forse anche un po' di diplomazia. Una cosa che ho imparato col tempo è che se avevo un dubbio sul titolo (troppo forte, troppo semplificato) lo sottoponevo all'autrice/tore. Non sempre si avevano i tempi giusti per farlo, ma se l'avevo ci provavo.

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Personalmente non mi sono mai offesa, a volte mi hanno anche fatto ridere. Il problema sorgeva quando c'erano altre persone coinvolte (come per le interviste). In nome del click si inventavano cose.

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Pensa che ogni mattina leggo le newsletter di Cibo Today e Gambero Rosso e alle volte non mi rendo conto di quale stia leggendo tra le due a causa dei titoli tutti uguali. In realtà la differenza c'è: il Gambero è un po' più variegato e usa varie formule, da quelle classiche di stampo "shock" a quelle che ti propongono la notizia nella prima parte del titolo e poi c'è il colpo di scena nelle seconda parte ("L'Europa approva la carne marziana. Ma gli ambasciatori del pianeta rosso insorgono"). I titoli di Cibo Today invece sono dei poemi senza punteggiatura che si reggono sulle subordinate: l'etichetta del cambiamento che hai usato è azzeccatissima, costituisce praticamente l'80% dei loro titoli, e ti fanno passare la voglia di leggerli. Peccato, perché ci scrive gente in gamba raccontando storie molto interessanti, ma evidentemente i titolari del sito ritengono che non lo siano abbastanza. Proprio qualche settimana fa in una nota qui su Substack avevo evidenziato che in passato un buon titolista era chi ti sapeva riassumere un contenuto in due parole attirando la tua attenzione perché lo spazio su carta era poco e in prima pagina era occupato da caratteri cubitali con dimensioni da 80 a 200. Oggi che lo spazio digitale è virtualmente infinito nel giornalismo online si è persa questa sottile arte riassuntiva che era tipica dei bravi copy, capaci di far vendere milioni di copie. Il vero clickbait, anzi buybait, lo facevano loro, altroché.

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Gambero è interessante perché se noti su Facebook aveva iniziato anni fa a cambiare i titoli, cosa che non era sciocca, perché sui social a volte si devono un po' accorciare o comunque rendere più affabili. Cibo come dici tu ha delle bellissime penne, i titoli tendono a ripetersi, vero, ma è vero anche che scrivono tanto quindi forse è inevitabile?

La cosa "positiva" di tutto ciò credo sia proprio il cambiamento nella stampa gastronomica, cambiamento che 10 anni fa sembrava impossibile e che invece sta iniziando a tirare fuori voci o comunque argomenti più contemporanei. Si passa, credo, anche dai titoli in questo senso.

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Purtroppo io ho una certa avversione per la linea editoriale del Gambero dell'ultimo anno che si riflette anche in titoli discutibili fatti apposta per causare engagement su Facebook. Come "l'idea cretina ma geniale" di Con mollica o senza. O quello abominevole della "sostituzione etnica" dei pastori sardi con quelli del Kazakistan...

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