Carne umana e carne sintetica. Commestibile vs Mangiabile
Dal reporter della CNN che ha mangiato il cervello umano, alla carne sintetica che è sintetica fino a un certo punto.
/Commestìbile/
Vi è una dialettica fondamentale della dietetica umana: quella che articola l’opposizione tra commestibile (per natura) e mangiabile (accettato dalla cultura). 1
Nel 2017, forse lo ricorderete, il presentatore e autore americano Reza Aslan fu aspramente criticato per aver assaggiato nel suo documentario per la CNN sulle religioni, Believers, un pezzo molto piccolo di cervello umano e bevuto da un teschio. Il video, che trovate molto facilmente sul web, mostra Aslan abbastanza riluttante nel provare la carne umana che, specifichiamo, era stata precedentemente cotta sul fuoco; più tardi Aslan dirà di essere stato spinto dalle pressioni della comunità nomade Anghori, protagonista dell’episodio del documentario. A colpire non troppo positivamente il pubblico fu anche la reazione di Aslan su Twitter dopo l’accaduto: “Volete sapere di cosa sa il cervello di un uomo morto? Di carbone, era completamente bruciato”.
Il sommario di questa Newsletter
Il cannibalismo è sulla bocca di tutti
Parlare di cannibalismo fa paura
Carne commestibile, ma non mangiabile
Carne umana, carne coltivata in laboratorio e pasta in bianco
Tutti i link della newsletter
Il Cannibalismo è sulla bocca di tutti
Avevo seppellito in qualche angolino della mia memoria questo episodio che all’epoca, ammetto, mi aveva fatto sorridere; non per il cervello o per il distacco culturale, bensì per tutto il clamore attorno all’accaduto. Mi è tornato alla mente circa sei anni dopo, leggendo un libro, Mamma per Cena (Mother for Dinner, pubblicato in Italia da Guanda) di Shalom Auslander, autore cresciuto nella comunità ebraica ortodossa di Monsey a New York—sì la stessa di My Unortodox Life su Netflix—dalla quale si è poi distaccato completamente.
Mamma per Cena racconta di una famiglia di “Cannibali Americani”, ipotetica etnia che si sta estinguendo e che ha come tratto identitario quello di mangiare i propri cari una volta defunti. I Cannibali Americani non possono rendere nota a nessuno la propria peculiarità culturale: il gesto di mangiare carne umana, che qui assume la valenza di commemorazione, è impossibile da far digerire al resto del mondo. La famiglia Seltzer, antichissima quanto la venuta dei Cannibali negli USA, è costretta quindi a nascondere la propria identità e a cercare di preservarla allo stesso tempo.
Avrete notato anche voi che negli ultimi anni il cannibalismo è entrato di prepotenza in tutta una serie di narrazioni cinematografiche e non: dal film di Guadagnigno, Bones and All, a Fresh, film leggerino che trovate su Disney+ che mixa horror, empowerment femminile e sesso. C’è anche Raw, come mi ha ricordato la scorsa settimana la newsletter di Marta, Mutande del Lunedì .
Nel film di Guadagnino, come in Mamma per cena, la comunità cannibale deve nascondersi, anche se in questo caso essere antroprofagi si serve di codici horror ed è legato alla sussistenza, come fossero dei moderni vampiri.
Parlare di cannibalismo fa paura
Durante il mio lavoro a Vice/Munchies sono stati molti i pezzi controversi, ma c’è un pezzo che abbiamo deciso dopo un po’ di non condividere più sui social, banalmente perché ci faceva perdere follower: Ho fatto il sanguinaccio con il mio stesso sangue. Il titolo, abbastanza esplicativo, era stato tradotto fedelmente dall’originale della collega olandese.
Il pezzo, con dovizia di particolari, raccontava di come era avvenuta la trasfusione che aveva poi permesso la trasformazione in cibo del sangue della coraggiosa sperimentatrice. Non proprio cannibalismo, ma una specie, e senza che nessuno morisse per giunta. Il giorno dopo aver postato il pezzo sull’account Instagram di Munchies ecco l’esodo di massa, incubo di qualsiasi social media manager: circa 2.000 follower avevano lasciato il profilo. “Esagerati” ho pensato. In realtà, con tutta probabilità, non ci avevo riflettuto poi così bene; non avevo capito le difficoltà culturali nell’affrontare una narrazione di quel tipo, che non era tanto il delitto che si celava dietro l’assunzione di carne umana ad essere il problema, lo era quello di nutrirsi di cose troppo simili a sé stessi.
I commenti erano infatti perlopiù “che schifo” “siete malati”, e probabilmente la cosa che aveva scioccato di più era l’idea che un magazine che si occupasse di cibo parlasse di sangue e morte. Nonostante i pezzi sulla carne e sugli animali morti fossero invece tanti e sempre acclamati.
La realtà è che il cannibalismo è accettabile solo quando letto e raccontato nei confini del genere horror o del post-apocalittico; il cannibalismo come nutrimento funziona solo come extrema ratio, come negli ultimi | Spoiler | episodi di The Last of Us o di Yellowjackets.
Carne commestibile, ma non mangiabile
La produzione di carne coltivata parte da una biopsia con cui vengono estratte alcune cellule da un animale, in modo semplice e indolore
L’argomento è dunque scomodo se inserito in una dimensione di nutrimento, godimento o sperimentazione; la carne umana è commestibile, ma non mangiabile. Questo, direte voi, perché mangiare carne umana prevede la morte di un uomo o una donna o, nella più idilliaca della situazioni, il vilipendio del loro corpo. Nessuno si macchierebbe di questi due reati per assaggiare un pezzo di carne umana, ammesso che non sia un serial killer.
Certo che l’antroprofagia è stata per molte comunità un simbolo religioso, divino e anche giuridico. Per alcune culture la carne umana è o è stata mangiabile, non solo commestibile. Proprio come nella tribù hindu degli Anghori.
Nel regno animale ovviamente le cose si fanno più complesse ancora, ma è interessante scoprire come ad esempio il cannibalismo da molti animali sia praticato quando si arriva a una sovrappopolazione. Che la fascinazione del cannibalismo moderno venga anche dal fatto che siamo tantissimi su questa terra?
Scherzo!
La cultura, come dicono tutti i semiologi e o gli studiosi di gastronomia, regola quello che mangiamo. Giusto. Questo mi ha portato naturalmente a riflettere sull’onta generata dalla proposta di mangiare un altro tipo di carne, che con l’uomo non c’entra nulla e con gli animali molto poco. Quella sintetica.
Il 28 marzo l’Italia è stato il primo paese a vietare la carne sintetica, carne sintetica che fra le altre cose noi ancora non produciamo o importiamo ancora da nessuna parte. E come noi quasi tutto il mondo. Il ministro dell’agricoltura e sovranità alimentare Lollobrigida, però, era così spaventato dall’idea che potessimo mangiare qualcosa di “artificiale” che ha annunciato la lieta novella del bando come se avesse salvato Venezia dal turismo di massa. Chissà a cosa ha pensato quando ha visto anche i grilli sulla pizza.
Come dice molto meglio di me questo pezzo de L’Essenziale, che intervista la docente di veterinaria Carlotta Giromini: “la produzione di carne coltivata parte da una biopsia con cui vengono estratte alcune cellule da un animale, in modo semplice e indolore.” Dunque di “quell’artificiale” che fa così paura alla sovranità alimentare c’è ben poco.
Ma perché una produzione che dal punto di vista etico sembra essere la soluzione per iniziare a fare a meno di allevamenti intensivi e inquinamento spaventa così tanto? Soprattutto se non esiste ancora una concreta possibilità di mangiarla in Italia. Diversamente, a Singapore si può già assaggiare la carne coltivata in laboratorio anche comodamente seduti al ristorante, o meglio nel piccolo bistrot della macelleria Huber’s Butchery e una volta a settimana. E pare che i posti siano sempre sold out.
E se Lollobrigida sapesse che esiste anche il grasso animale prodotto in laboratorio? Come si legge in questo pezzo de La Svolta, un team di ricercatori statunitensi “ha prodotto con successo tessuto adiposo in laboratorio che possiede una consistenza e una composizione simili ai grassi naturali degli animali.”
Due tipi di carne molto diversi e stesso veto culturale: la carne sintetica è apparentemente un pericolo allo status quo della “cucina tradizionale”, non è codificata e per questo va messa al bando.
La carne mangiabile è quella della campagna dei nostri nonni, dei nostri alpeggi, degli allevamenti italiani “felici”. È quella certificata per fare le bresaole, le soppressate e i prosciutti. E, anche se la maggior parte della carne che mangiamo viene da allevamenti intesivi, va bene lo stesso; basta che non sia “falsa”.
La stessa diffidenza, sebbene a volumi minori, si è vista anche in occasione dell’arrivo della carne finta—quella finta per davvero—, il celebre Beyond Burger e derivati. Adesso che è un prodotto presente nella GDO le reazioni sono meno polarizzate, ma rimangono online le domande di utenti spiritosi inutili tipo “se sei vegetariano perché vuoi qualcosa che imiti il sapore della carne?”. La risposta perfetta da dare, in questi casi, penso sia sempre questa:
Carne umana, carne sintetica e pasta in bianco
Se c’è qualcosa che minaccia tutto quello che stiamo mangiando ora o abbiamo mangiato da bambini va bandito e ridicolizzato. Anche se è una semplice pasta in bianco.
La scorsa settimana è diventato virale un pezzo della collega e amica Margo Schachter (qui trovate la sua newsletter Materia Prima) pubblicato a gennaio su La Cucina Italiana. Ignoro i motivi per cui dopo un bel po’ di mesi il pezzo sia tornato in auge, sta di fatto che la viralità è partita da Twitter per poi conquistarsi video su TikTok e articoli su Il Messaggero, Fan Page e molti altri.
La pasta di cui parla Margo è una pasta in bianco da 26 euro, e il costo è dovuto al processo di realizzazione abbastanza laborioso nonostante gli ingredienti siano abbastanza semplici. In più il ristorante che la propone è all’interno di un hotel a 5 stelle, che quindi ha certi prezzi ma anche certe spese fisse. Io li spenderei? Non lo so, onesta, ma visto che nella newsletter precedente parlavamo proprio di costi a Milano, il prezzo non mi stupisce né tantomeno triggera il mio lato da consumatrice.
Perché ha fatto scalpore della pasta in bianco? Perché ancora una volta si è giocato sulla risemantizzazione di un piatto: la pasta in bianco è un piatto povero, è un piatto che ti fai quando stai male di stomaco. Non deve essere sul menu di un ristorante elegante e non può costare 26 euro.
La carne? È quella della mucca dello zio Piero in Abruzzo o del maiale di nonno Giuseppe che vive sul Pollino. Il resto lo lasciamo nell’horror, al post apocalittico e a studi di laboratorio banditi.
Tutti i link nella newsletter
Reza Aslan outrages Hindus by eating human brains in CNN documentary (The Guardian)
Mamma per cena, Edizioni Guanda
La newsletter Mutande del Lunedì
Ho fatto del sanguinaccio con il mio stesso sangue (Vice/Munchies)
Gli ultimi episodi di The Last of Us (Collider)
“Yellowjackets,” and the Problem of Women Eating One Another (New Yorker)
When things get crowded, a hormone spike may turns animals in cannibals (Syfy)
La prima pizza con grilli tostati? Costa 15 euro e la potete gustare in un locale di Trieste (Repubblica)
La carne sintetica in Italia non esiste (L’Essenziale / Internazionale)
Mangiare la carne fatta in laboratorio, a Singapore (Il Post)
Carne coltivata, arriva il grasso riprodotto in laboratorio (La Svolta)
La newsletter Materia Prima
La pasta in bianco che sta facendo impazzire Milano (La Cucina Italiana)