Che diamine sta succedendo ai nomi dei ristoranti?
Quanto incide il nome di un ristorante sulla nostra scelta di provarlo, sul ricordo e sulle prime impressioni. E perché i nomi dei locali subiscono così tanto le mode?
/ Commestìbile /
Menu monouso e commestibile. Un ristorante di Pordenone nel 2020, in seguito alla riapertura dopo il lockdown, inventò un menu commestibile stampato su carta di riso. Così i clienti potevano mangiarlo e i menu non erano “contaminati”.
Credo di essermi imbattuta nella mia vita almeno in una decina di bar Eden, metà dei quali avevano il piano-bar. Pizzerie e ristoranti Il Giardino in cinque città diverse. Sono stata definitivamente almeno in sei Miramare a mangiare qualche discreto antipasto di mare.
E poi i parrucchieri Il Bello delle Donne—proliferati dopo che l’omonima fiction Rai andò in onda—le decine cinema Odeon e i lidi marittimi La Sirenetta, sul Tirreno come sull’Adriatico.
Quando si parla di attività ristorative la questione della scelta del nome non viene fuori quanto dovrebbe. Eppure è il primo biglietto da visita di un locale, il primo messaggio che si manda a clienti e/o alla stampa gastronomica. È marketing. Può suggerire che sei una vecchia insegna, che servi un tipo di cibo piuttosto che un altro, che si beve bene o che fai un certo tipo di servizio. Può tramutarsi in una gag con i clienti e può essere un modo per dialogare con loro online e offline.
Una volta i ristoranti avevano i nomi dei propri fondatori, o si ispiravano a caratteristiche geografiche o toponomastiche del luogo di appartenenza. Osteria Ponte Vecchio, Ristorante La Madonnina, Trattoria da Giglio. C’è chi ha osato molto, molto di più (provate a battere Il Brillo Parlante se ci riuscite. Genio).
Il sommario di questa Newsletter
Cosa sta succedendo ai nomi dei locali
Perché ho scelto questo nome per il mio ristorante? Lo abbiamo chiesto ai ristoratori
C’è davvero un significato dietro il nome di un locale?
Stai cercando figure professionali per la ristorazione o la comunicazione gastronomica?
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Cosa sta succedendo ai nomi dei locali
Io—Roberta Abate—e Victoria Small—l’altro stomaco di Commestibile—, per questa newsletter siamo partite col chiederci “cosa diamine sta succedendo ai nomi dei locali”, soprattutto a Milano e in Lombardia dove, si sa, i ristoranti aprono sempre (chiudono anche tanto) e dove il marketing ristorativo può esprimersi con più libertà che in altri luoghi. Le insegne di due ristoranti diversi ci hanno fatto riflettere proprio sui “nomi” come mai prima: Trattoria Contemporanea e Trattoria Sincera. A distanza di poco erano nati due ristoranti che avevano scelto come nome per la loro attività una definizione, un modo di dire quasi gergale, nato su social network o sui magazine.
Trattorie Contemporanee e Sincere
Se siete qui probabilmente l’espressione “trattorie contemporanee” non vi è nuova. Ma qui vogliamo spiegare anche l’ovvio e quindi diciamo che per trattoria contemporanea si intende quella trattoria di seconda generazione, dove tecniche e ingredienti vengono dall’alta cucina, ma sono al servizio di piatti più semplici ma ben fatti. Se n’è iniziato a parlare molto dopo l’apertura di Trippa a Milano. Prima ancora, però, c’era stato Consorzio, a Torino, aperto nel 2008 da Andrea Gherra e Pietro Vergan, oggi un punto di riferimento per chi ama vini artigianali e una cucina mai banale (in cucina c’è la chef Valentina Chiaramonte). A Piacenza i cultori conosceranno Ostreria dei Fratelli Pavesi. A Roma Santo Palato. Non sono i soli, ovviamente.
Questo tipo di indirizzi ha riscritto le dinamiche della desiderabilità dei ristoranti; non solo stellati Michelin o ristoranti della 50 Best: le liste d’attesa erano adesso per locali da un ottimo rapporto qualità prezzo e che servivano piatti tradizionali ma con un gusto in più, inafferrabile, difficile da rintracciare nelle ricette delle nonne. E la gente non sembra volere altro, anche adesso dopo 10 anni: siamo state recentemente da Brisla, a Parma, neo-trattoria contemporanea con i piatti parmensi ormai dimenticati. Oltre ad avere un ottimo menu e dei gran piatti, Brisla ha tutti i tavoli prenotati fin dalle prime settimane. Si mangia bene, si spende il giusto, il clima è informale e la carta dei vini è divertente.
Quando parli di trattoria contemporanea c’è un mondo, c’è una storia e c’è anche una tipologia di lavoro sui piatti. È corretto, da un punto di vista comunicativo, utilizzare una definizione di questo tipo per una nuova apertura?
Il nome Trattoria Sincera ha una genesi più recente: grazie a un account Instagram, negli ultimi 3 o 4 anni la definizione di “posto sincero” si è estesa a macchia d’olio in Italia, con particolare devozione a Milano, dove trovare trattorie senza grandi pretese, economiche e un po’ “vecchio stile”—questo dovrebbe significare l’aggettivo “sincere”—, è sempre più difficile. Quanto ci ha impiegato un “modo di dire”, nato sui social, a trasformarsi nel nome di un locale? E il menu rispecchia la definizione?
NOTA BENE: su entrambi gli indirizzi non stiamo esprimendo nessun giudizio di sorta. Non ci abbiamo mangiato (speriamo di farlo presto) e siamo sicure che siano ottimi locali. Ma il nome, da un punto di vista strategico, è una buona idea? Fra qualche anno, questi due nomi cosa comunicheranno, e soprattutto, rischiano di diventare vecchi?
Perché ho scelto questo nome per il mio ristorante?
La scelta del nome ci ha aiutati dal punto di vista della brevità del nome, ma non so se ci abbia aiutato dal punto di vista del marketing: molta gente veniva qui pensando ci fosse solo trippa, e tantissimi altri non sono venuti, pensando che ci fosse solo trippa
Perché alcuni ristoranti italiani all’estero hanno ancora nomi come Cosa Nostra o Mafia Bella? Per l’Italian Sounding ovviamente, e perché evocano un immaginario “esotico” a metà fra cinema e criminalità che evidentemente ha il suo ritorno economico. Qui Giorgia Cannarella aveva provato a spiegare il fenomeno ancora meglio.
E ancora, perché c’è gente che usa i nomi biblici per i propri ristoranti? Qui trovate qualche insegna dall’ispirazione divina.
Al netto di mafia e religione, come si sceglie dunque il nome di un ristorante?
Lo abbiamo chiesto ad alcuni locali di successo. Anche qui non vogliamo dare giudizi sul cibo dei ristoranti, ma solo parlare del loro biglietto da visita: il nome.
Trippa
Diego Rossi è lo chef che insieme a Pietro Caroli ha aperto Trippa, un ristorante che ha cambiato la fisionomia della ristorazione milanese e non. Una trattoria contemporanea, per l’appunto, dove fra le altre cose è impossibile prenotare.
Chiediamo a Diego Rossi l’origine del nome: “Trippa, perché quando cercavamo il nome volevamo una parola dal doppio significato, che fosse corta e che avesse un suono quasi onomatopeico. Nasce da Pietro: avevamo pensato a Testina e a Codeghin, alla fine abbiamo scelto Trippa perché è la regina del quinto quarto e c’è almeno una ricetta di trippa per ogni regione d’Italia, e poi perché Trippa significa anche sostanza, “c’è trippa”. Io arrivavo da una cucina più elaborata, più sofisticata, e volevamo far capire alla gente che non era un ristorante fine dining.”
Diego continua: “La scelta del nome ci ha aiutati dal punto di vista della brevità del nome, ma non so se ci abbia aiutato dal punto di vista del marketing: molta gente veniva qui pensando ci fosse solo trippa, e tantissimi altri non sono venuti, pensando che ci fosse solo trippa. In alcuni casi ci ha creato un po di problemi se ci pensi anche se è un nome che si ricorda”.
Kanpai
Joseph Khattabi è una delle menti dietro a diversi progetti ristorativi a Milano, vedi Kanpai, Frangente e Osteria alla Concorrenza. “Kanpai arriva dal mio secondo viaggio in Giappone, era il mio addio al celibato; abbiamo ovviamente fatto festa per 10 giorni, a suono di Kanpai in giro per locali e izakaye. La storia è una storia di approccio al Giappone dal suo lato più divertente. Il nome è facile di ricordare, un suono dopo sei anni dopo è diventato sempre più riconoscibile.” Joseph alla domanda se il nome scelto abbia aiutato il marketing del suo locale risponde: “Sì, perché Kanpai nasce come cocktail bar oltre che come cucina, possiamo definirlo con un inglesismo un “dining bar”, e quindi una delle cose che si fa da Kanpai è brindare e bere, oltre che mangiare”.
Fieno
Ci spostiamo da Milano a Parma, dove l’anno scorso ha aperto Fieno, un locale con anche un grandissimo spazio esterno poco fuori dal centro della città emiliana. Chiediamo alla proprietaria Beatrice Rossi il perché del nome: “Fieno nasce in maniera davvero spontanea, dall’immaginario che vogliamo rappresentare, ispirato ai luoghi che il ristorante abita e quindi all’ex azienda agricola oggi trasformata in spazio eventi e ristorante. Fieno secondo me esprime semplicità, ma anche sostanza. Non lo cambierei perché penso che sia un nome memorabile ben associato al nostro concetto di cucina”.
Palinurobar e Osteria la Grandissima
Antonio Crescente è uno dei fautori di due locali amati dai trentenni milanesi, entrambi improntati sui vini artigianali e buon cibo: Palinurobar e Osteria la Grandissima. In modo diverso, i due locali evocano il clima scanzonato che si ritrova effettivamente sedendosi ai loro tavoli. “Il perché del nome Palinuro è molto semplice: è il titolo di una canzone di Lino Bonocore, che era un po’ la sigla mia e dei mie soci quando lavoravamo in un altro locale. Ci piaceva inoltre perché è un nome lungo e abbiamo pensato fosse un segno distintivo, ci sembrava segnalasse un posto di qualità, più “ricercato”. Per Osteria la Grandissima abbiamo fatto un ragionamento diverso: è una specie di nome composto tra Lagranda—nome storico del milanese—e lo slang milanese da imbruttito. Funziona molto la cosa dello “slang” milanese, che diventa subito una battuta tra noi e il cliente, e tra i clienti noto come stia riscuotendo molto successo”.
C’è davvero un significato dietro il nome di un locale?
Quando abbiamo curato la consulenza di Serra, un locale per colazioni e pranzi in via Melzo a Milano, con la proprietaria e anima del progetto Vittoria Vitali avevamo due preoccupazioni fondamentali. Via Melzo era nota per essere piena zeppa di ristoranti, alcuni anche abbastanza famosi, e il locale doveva distinguersi in qualche modo per emergere. In più il nome doveva avere un senso, un appiglio alla struttura del locale, alla sua architettura che per la proprietà era un punto fondamentale del progetto.
La natura vegetale del ristorante, che nei suoi piatti spinge molto sulle verdure pur non essendo una cucina totalmente vegetariana, e la struttura all’interno—la cucina è in una vera e propria serra per esigenze strutturali— hanno portato al nome che ha oggi.
Il nome in più era corto, non stonava con i locali vicini—Røst e Crosta. Serra era semplice da ricordare e aveva un senso. Restituiva in più l’ambiente semplice ma ricercato che Vittoria desiderava nel suo locale.
I nomi dei ristoranti influiscono sulla percezione di un indirizzo? Soprattutto quando è nuovo?
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